[interpreti] Z. Megyesi, M. Gonzales, A. Melath, Z. Varadi, B. Hegyi, T. Kobor
[direttore] Fabio Pirona
[orchestra] Savaria Baroque
[2 cd] Hungaroton 32538-39
Utile occasione, questa incisione di un’opera sconosciuta (una delle 46 utilizzanti lo stesso libretto di Metastasio, tutte con l’imbarazzante presenza di Mozart quale impossibile termine di paragone), per confrontare il diverso metodo della Hungaroton rispetto a tante etichette – nostrane e non – impegnate in analoghe riscoperte. Anziché affidarsi a interpreti magari volonterosi ma vocalmente acerbi o addirittura di quelli che non hanno nulla da perdere perché nulla hanno mai posseduto, la casa magiara schiera un cast di nomi ignoti però uno più bravo, solido, preparato dell’altro, e tutti provvisti di fior di timbri. Tassello importante nell’evoluzione della commedia lirica, Galuppi conferma con quest’opera seria le sue cospicue doti sia nell’orchestrazione sia nel trattamento di armonia e ritmo a fini squisitamente teatrali (non per niente molte opere sue furono attribuite a Vivaldi), sia nel trattamento vocale: se molte sono le arie splendide, forse più notevoli ancora sono i recitativi accompagnati, dove il senso della costruzione drammatica attinge a risultati oltremodo considerevoli, che la direzione di Fabio Pirona alla testa d’un’ottima formazione di strumenti antichi, evidenzia con sicuro intuito teatrale. Il cast sfoggia quella tipica vocalità solida, tecnicamente ferrata in materia d’appoggio e proiezione del fiato, in grado di produrre linee vocali ampie, omogenee e ricche di fascinose, brunite ombreggiature che sono tutte un vibrar d’armonici: i soprani Monika Gonzales (una Vitellia al calor bianco) e Zita Varadi (Servilia, titolare di due arie una più bella dell’altra) ridicolizzano certe vocette esili e puntute che abbiamo quasi sempre subito nei nostrani ripescaggi settecenteschi; il Tito del tenore Zoltan Megyesi ha voce ampia, robusta, timbratissima, al servizio di accenti il cui vigore suscita grande curiosità all’idea di ascoltarlo impegnato nelle grandi arie di quello mozartiano. Persino il controtenore Barnabas Hegyi, che fa Annio e canta tre bellissime ma anche assai impegnative arie, per timbro, tecnica, robustezza e squillo del registro acuto (fa pensare a Bejun Mehta), fantasia d’interprete, nulla ha da invidiare ai nomi più blasonati d’area tedesca e anglosassone.
Elvio Giudici