editore Libreria Musicale Italiana pagine 295 euro 30
La bibliografia del grande compositore tedesco, scomparso a 86 anni nel 2012, si arricchisce di una nuova tessera, idealmente integrata ai Canti di viaggio ristampati dopo la morte e all’epistolario con Ingeborg Bachmann, un anello imprescindibile nella lunga vicenda creativa di Henze. “Lei è stata molto importante nella mia vita, ma non so, e non ho mai saputo a che punto io sono stato davvero importante per lei” e in tale irrisolutezza si può scorgere quello che dietro il sussulto esistenziale di questo rapporto costituiva il motivo segreto della reciproca attrazione, il comune disagio di una vocazione creativa che entrambi sentivano misteriosamente quanto fatalmente intrecciarsi. Per Henze la conquista di un rapporto di reciproca circolarità tra musica e parola è il filo conduttore che guida la sua lunghissima e feconda avventura creativa, lo stimolo di una forza comunicativa che in quegli anni accesi del dopoguerra lo porterà polemicamente a combattere ogni forma di autoreferenzialità. Motivi che si intrecciano nella vocazione autobiografica di Henze e che ora ritroviamo in questo volume della Lim, curato da Riccardo Panfili e Clemens Wolken fedeli assistenti di Henze nell’ultimo periodo, scandito su tre piani – diari, saggi, interviste – attraverso i quali possiamo ricomporre la complessa evoluzione del compositore, “il più importante compositore vivente”, veniva considerato prima dell’ultimo viaggio verso altri lidi. Un viaggio lunghissimo quello terreno del musicista tedesco il quale ha rivissuto praticamente, da Darmstadt in poi, tutte le vicende sperimentali dell’avanguardia rimanendo però al di fuori da ogni impiccio deterministico e ciò grazie a quella sua impareggiabile vocazione musicale che, come ben attesta il bilancio attuale, lo ha protetto dalle tante accuse di eclettismo e di tradimento. Vocazione musicale nutrita da una non comune cultura letteraria e soprattutto da quella inclinazione teatrale che si dirama più segretamente entro la trama della sua ricchissima produzione strumentale innescando quel senso di scorrevole colloquialità che si prova ad ogni ascolto. Impressiona la versatilità che ha attivato un catalogo di straordinaria ampiezza dove al consistente tributo teatrale si unisce una ricca produzione cameristica in cui si riflettono tanti altri scorci, dal mondo cinematografico alla partecipazione politica, uno dei fili conduttori che attraversa la vita del compositore e ancora la sollecitazione didattica, con quel Pollicino che ha entusiasmato migliaia di bambini, un flusso inarrestabile che sembra prolungare un’idea felice della musica tra le tante ombre equivoche che oggi la minacciano. L’idea di bellezza, appunto, che in una delle sue ultime interviste Henze definiva “il mio compito etico”, un’idea connessa alla scelta di vivere in Italia, per quasi sessant’anni, affascinato dalla luce dei colli romani. “Sono l’unico compositore tedesco che invece di andare a Darmstadt è andato in Italia”, diceva per rivendicare la portata di quella scelta, l’unicità dell’attrazione: l’incontro con il canto, “l’impressione di un canto spontaneo, lo stile vocale con le sue caratteristiche di declamazione”, linfe che nutriranno la sua complessa vita creativa, quella sua “disperata volontà di comunicare”, dirà Massimo Mila, sospinta da quell’inquietudine che l’aveva spinto a lasciare la Germania travagliata dal nazismo alla ricerca di più esaltanti esperienze, dal Vietnam a Cuba: poi l’Italia, il paese in cui viveva “da italiano tra italiani” avvinto da quella naturale idea di bellezza che vedeva discendere direttamente dalla tradizione dei Greci.
Gian Paolo Minardi
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