[interpreti] A.Netrebko, R.Villazon, A. Daza, C. Fischesser
[direttore] Daniel Barenboim
[orchestra] Staatskapelle di Berlino
[regia] Vincent Paterson
[regia video] Andreas Morell
[formato] 16:9
[sottotitoli] Ing., Fr., Ted., Sp., Cin. [2 dvd] 0734431
In sostituzione d’un collega malato, Barenboim ha imparato in dieci giorni quest’opera che, eseguita integralissima com’è, è molto lunga e niente affatto semplice: non tanto o non solo per difficoltà tecniche, che ovviamente per lui non esistono, ma per peculiarità stilistiche in assenza delle quali l’opera vira alla melassa verista, e così banalizzandosi diventa cosa affatto diversa dal capolavoro che invece è. Tutto un gioco di rubati e chiaroscuri dinamici, smorzature e accelerandi, crepitii ritmici e folate melodiche, sono altrettante sistole e diastole d’un pulsare narrativo in costante tensione: riflesso in uno di quegli spettacoli coi quali l’epoca nostra sta ridefinendo il concetto di recitazione nel teatro lirico. Con artisti come Villazon e Netrebko, difatti (o come Simon Keenlyside, Natalie Dessay, Cecilia Bartoli, capostipiti d’un gruppo in costante infoltimento), cessa il confine tra teatro di prosa e lirico, quest’ultimo con tutto il tradizionale apparato di pose e atteggiamenti dai quali triste significato ha assunto il termine ‘melodrammatico’, e che oggi appare come il cinema dei telefoni bianchi visto da quello di Billy Wilder.
Raccontare che qui Manon, sdraiata sul letto con Des Grieux, fa leggere a questi la lettera posandosela sul sesso e lentamente facendosela risalire verso il viso, sembrerebbe la cosa scabrosa che viceversa non è affatto: la spontaneità intrisa di sensuale follia connaturata alla gioventù, è qualcosa – difficilissima da rendere a teatro – che non si descrive, occorre vederla. Così, io non l’avevo ancora vista su di un palcoscenico lirico, e pochissime volte alla prosa. Non è che così spariscano i diversi problemi vocali d’un Villazon che apre troppo il suono spingendolo in maniera disordinata: però vengono riassorbiti nella sbalorditiva verità scenica, che finisce col far tutt’uno con quella vocale. Anna Netrebko, tecnicamente molto più ferrata, è bella, giovane, febbricitante di vita come Manon deve essere e quasi mai appare, reggendo la difficilissima sfida d’una regia che da ragazzina avida lettrice di riviste gossip la porta su quelle stesse copertine, simbolo d’un mondo vuoto destinato fatalmente a stritolarla.
Elvio Giudici