[interpreti] F. Furlanetto, G. Filianoti, D. Theodossiou
[direttore] Stefano Ranzani
[orchestra] teatro Massimo di Palermo
[regia] Giancarlo Del Monaco
[regia video] Matteo Ricchetti
[formato] 16:9
[sottotitoli] It., Ing., Fr., Ted., Sp.
[2 dvd] Dynamic 33581
Quando gli Scapigliati credevano di riassumere nel nome di Verdi (il Verdi del Ballo in maschera!) tutto quanto di vecchio appesantisse la musica italiana, il principale capo d’accusa era sempre la non sufficiente dimensione culturale dei suoi soggetti: da cui l’ovvia scelta boitiana di elevare a protagonisti di un’opera Dio e il Diavolo, volgendosi per questo a Goethe. Col risultato di metter su un impianto mal capito di Grand-Opéra, privo delle sue bellurie strumental-vocali in favore di canzoni da salotto niente male e canzonacce pessime, tenute assieme da uno sbrindellato tessuto connettivo di bolso declamato onde far tanto meditabondo: e come spesso accade, il serioso mal fatto diventa comico.
Ci s’è sempre sganasciati, ai versi e alla musica di questa “ruina universal”. Invece, Giancarlo Del Monaco affronta a muso duro il comico del Mefistofele. E non quello che potrebbe sembrar scontato del Sabba Infernale (una sorta di discoteca molto fetish, tra drag-queen, boa, cuoio, calze a rete – bellissima), bensì proprio quello Classico: la Grecia ricostruita a Las Vegas accanto alle Piramidi, al David, a Venezia, coi celebri neon del Nevada (Troy Great Show, tonite), con Elena e Pantalis dentro una conchiglia sberluccicante come nelle riviste della scicchissima Elena Giusti o come in Totò e Cleopatra, Faust in camicia a fiori e sombrero, Mefisto che regola entrate e uscite in divisa da portiere d’albergo. Idee azzeccatissime fanno da consono contorno: l’iniziale sproloquiare di Faust seduto su una giostra di cavallini che girerà anche su comando di Mefisto, metafora perfetta di quanto davvero è ciò che si spaccia per visione romantica. Con però una pesante limitazione: scene di massa così concepite, avrebbero dovuto disporre d’un coro capace di recitare senza limitarsi a passeggiare divertito muovendo alla meno peggio mani che comunque impicciano, nonostante le acrobazie impiegate dalle eccellenti riprese di Richetti per cercare d’ovviarvi il più possibile.
Ottima direzione di Ranzani: magniloquente lo stretto necessario, ricca di finezze strumentali là dove possibile, suggestivi coloriti nella scena del carcere che contiene l’unico quarto d’ora di bella musica. E ottimo accompagnatore d’un cast ragguardevole: il Diavolo di Furlanetto recita da padreterno e canta con linea ampia, ferma, sonora quale non faceva ascoltare da tempo; Filianoti pena un po’ nel registro centrale e molto nel saldarlo agli acuti, ma il risultato complessivo è notevole; così brava, espressiva, di linea solidissima e compatta, la Theodossiou erano anni che non la sentivo, e se la figura è quella che è come Elena, il suo salire i gradini d’una scala che diventa croce e il suo cantarvi (benissimo) “Spunta l’aurora pallida”, comunica un brivido autentico. Mica poco, in quest’opera.
Elvio Giudici