interpreti S. Gould, L. Davidsen, E. Zhidkova, M. Eiche, S. Milling direttore Valery Gergiev orchestra Festival di Bayreuth regia Tobias Kratzer regia video Michael Beyer dvd blu ray Dg 004400735760
Alcune considerazioni di partenza. Nessun dubbio che (messe da parte le questioni religiose o comunque moraleggianti di cui il romanticismo ahimè si nutriva; nonché la palla cosmica della Redenzione, ahimè ahimè fissa molesta di Wagner), tema centrale dell’opera sia la condizione del libero artista innovatore rispetto ai canoni consolidati del pensiero conservatore, che sempre se ne sente minacciato, i suoi nonpensanti tacciando tale artista di “dissacratore”. Ricordiamo altresì il Wagner amico delle teorie rivoluzionarie di Bakunin a Dresda nel 1848, per le quali dovette fuggire e vagare per mezza Europa con la partitura di quest’opera composta tre anni prima (la sua prima versione, quella seguita qui).
E allora Kratzer, questo nuovo protagonista della scena contemporanea il cui genio sarebbe con ogni probabilità crocefisso in un’Italia che assai fatica a non essere avanguardia di una sempre più patetica retroguardia, fa del Venusberg uno scalcagnato furgoncino Citroën in viaggio tra i boschi della Turingia (impossibile non pensare a Marina Abramovic): guidato da una Venus molto punk accanto a un Tannhäuser-Pagliaccio molto Ronald McDonald, in compagnia d’un nano di nome Oskar munito di tamburino (chiara allusione a Oskar Matzerath, il bambino deforme che si rifiuta di crescere nel Tamburo di latta di Günter Grass) e della celebre drag queen nigeriana Gateau Chocolat, che dai locali di Adelaide s’è esibita in tutto il mondo. Di contro, la Wartburg cosa potrà allora essere? Una sorta di mummificata Mecca culturale, proprio quella Bayreuth che ha conosciuto periodi di asfissia artistica saltuariamente spazzata via da alcune personalità vere. Verso quella Bayreuth si dirige il furgoncino, dopo una sosta alla capanna di Biancaneve e i sette nani e dopo aver scroccato benzina e hamburger in un drugstore travolgendo un poliziotto che voleva fermarli: e qui Tannhäuser capisce d’esser stufo marcio di questa vita errabonda, anelando a tornare tra i suoi colleghi nel frattempo integratisi. Che sono appunto gli artisti scritturati a Bayreuth, che vediamo entrare nel Festspiehaus e ai quali Tannhäuser si unisce. Una Bayreuth, ovviamente, ipertradizionale. E allora la favolosa drag queen nera fa venire in mente lo scandalo inaudito della Venere nera Grace Bumbry che Wieland pose al centro d’una gigantesca ragnatela dove si contorcevano corpi nudi infoiati (lo scandalo, beninteso, era per la pelle nera, non per la pelle nuda…), anche perché una volta entrati nella Wartburg-Festspielhaus, lo spettacolo cui assistiamo è copia conforme dei vecchi allestimenti alla Wolfgang con tutto il relativo loro bric-à-brac medioeval-romanticheggiante. Però in alto, su di uno schermo, vediamo la banda del Citroën-Venusberg raggiungere lo spiazzo antistante, scalare il celebre balcone su cui appendono lo striscione “Frei im Wollen, frei im Thun, frei im Genießen, Liberi di volere, liberi di fare, liberi di gustare” e intrufolarsi dentro, dove Venus ruba un costume a una corista e s’infila in palcoscenico. Oskar e Gateau fanno il diavolo a quattro nelle quinte (e il cinefilo subito pensa ai fratelli Marx di Una notte all’opera… salvo che nella galleria dei ritratti il “bambino” Oskar guarda la foto di James Levine, inguaiato dai suoi gusti pedofili, e Gateau sogna davanti a quello di Thielemann): da parte sua, Tannhäuser sfida l’establishment e le immagini video mostrano allora Katarina che… chiama la polizia!
Dopo la vetriolica ironia di una concezione artistica basata sull’ipotetica rottura d’ogni schema, l’inevitabile rivincita della società che metabolizza quanto può servirle e il resto l’emargina definitivamente. Una discarica accoglie la Citroën ormai scassata. Gateau ha fatto fortuna e sorride da un manifesto pubblicitario. Wolfram si traveste da Pagliaccio-Tannhäuser e fa sesso con una catatonica Elisabeth, che si uccide. Tannhäuser uscito di galera ne compone il cadavere assieme a Wolfram in una lancinante Pietà, e la sempre pallosa Redenzione diventa un ben più coinvolgente sogno su quanto avrebbe potuto essere: ancora on the road sulla Citroen, ma con Venus che è invece Elisabeth.
Dominio assoluto del palcoscenico, all’insegna d’una tensione narrativa senza un solo secondo di stasi, in cui ironia, conformismo, estro rivoluzionario, sconfitta, esaltazione e desolazione, trapassano una nell’altra con fenomenale incastro teatrale. Interpreti tutti attori non meno che sublimi, e cantanti eccellenti: Stephen Gould domina una delle parti più infernali mai scritte, e la sua scena finale è da antologia; Lise Davidsen è fenomenale per purezza e morbidezza di linea, per l’intensità dello screziatissimo fraseggio, per il naturale carisma scenico; Markus Eiche è un dolente, patetico Wolfram; la versione di Dresda impegna Venus parecchio meno rispetto alla parigina, ma Elena Zhidkova si conferma artista di grande spicco; Stephen Milling è un po’ ruvido e ingolato, ma col Langravio ci sta.
Il bemolle riguarda Gergiev. Grande direttore, senza dubbio. Ma con l’acustica di Bayreuth non si scherza, e dirigere una sera via l’altra Tannhäuser, Frau ohne Schatten, Simon Boccanegra: il disastro è dietro l’angolo, e difatti svolta spesso con archi sovraesposti, fiati in sordina, ritardi e sfasamenti più frequenti di quanto si vorrebbe sentire. Intenzioni ottime, e si percepiscono: peccato però, non si realizzano che a sprazzi.
Elvio Giudici
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