La domanda, come spesso avviene in questi casi, cade a scoppio ritardato. Ma fa rumore ogni volta che viene sottoposta ai manager della cultura italiani. Perché lo streaming è diventato prioritario solo adesso che l’emergenza ha relegato il pubblico a casa? Perché, in altri termini, non si è pensato per tempo di affiancare strutturalmente, accanto all’offerta tradizionale “dal vivo”, una programmazione sdoppiata e parallela per andare incontro al pubblico? Tutti gli interpellati hanno una loro teoria, ma il più franco e diretto è stato Michele dall’Ongaro, sovrintendente di Santa Cecilia: “La risposta a questa domanda è, semplicemente, che prima non ci siamo posti il problema, almeno non in questi termini”. Gli fa eco l’autocritica di Andrea Compagnucci, direttore marketing del Donizetti Opera Festival: “Faccio ammenda, eravamo tutti convinti che lo streaming fagocitasse le biglietterie, già in sofferenza. Magari era un alibi, perché lo streaming costa tempo fatica e soldi, pochissimi erano all’altezza del punto di vista tecnico. Ma una cosa adesso la sappiamo: qualunque cosa succeda, non si tornerà più indietro”.
La pandemia, insomma, in Italia ha accelerato la rincorsa a colmare un gap tecnologico-culturale che in molti paesi è stato risolto da anni, in alcuni casi decenni, come mostra la Digital Concert Hall dei Berliner Philharmoniker, che non è certo un’oasi felice apparsa all’improvviso, ma è il risultato di quasi tre lustri di investimenti milionari, che se non garantiscono totale copertura economica con i ricavi da streaming, certamente tengono annodato il rapporto tra pubblico e istituzione. Nel nostro paese sono stati assordanti alcuni silenzi, protratti per settimane, a volte per mesi, durante i periodi più duri del lockdown. Disorientati da dpcm ondivaghi, limiti di capienza cangianti, norme in materia di sicurezza sanitaria, molti teatri hanno puntato tutto sulla ricerca di luoghi fisici per continuare (finché era consentito) la loro programmazione. Poi il secondo lockdown, annunciato il 25 ottobre, ha di nuovo vanificato questi sforzi e reso inevitabile il ricorso esclusivo al digitale, con tutte le diverse declinazioni che conosciamo. E qui il valore aggiunto delle idee e dello spirito di iniziativa ha cominciato a dare frutti, per quanto con esiti ancora molto distanti dai modelli europei più avanzati, in molti casi legati ancora a logiche di stampo televisivo, da vecchio spettacolo in prima serata. Stavolta però, senza più il timore che lo schermo cannibalizzasse o disincentivasse il pubblico dal vivo, decine di istituzioni musicali, sia teatrali sia concertistiche, hanno predisposto o creato ex novo il proprio dicastero digitale, stabilito alleanze mediatiche, in alcuni casi inaugurato nuove piattaforme “in proprio”, come Ravenna Festival, la prima ad essersi mossa in questa direzione già la scorsa estate. Ma proprio mentre lo scenario si va componendo di nuove e promettenti iniziative, ecco che aleggia, più come un’incognita che come una promessa, la nuova “Netflix della cultura” annunciata dal Ministro Dario Franceschini, un’iniziativa promossa da Mibact e Cassa Depositi e Prestiti per il supporto al patrimonio artistico-culturale italiano. La nuova piattaforma, secondo le fonti ufficiali del Ministero, sarà operativa nei primi mesi del 2021 e sulla carta promette “di portare benefici economici diretti alle attività culturali e alle performing arts”. L’investimento iniziale, di poco inferiore ai 25 milioni di euro, sarà gestito da una nuova entità controllata al 51% da Cdp e al 49% da Chili Spa, una società attiva dal 2012 nel settore dei servizi di Tv on demand con 4 milioni di utenti iscritti, “scelta – spiegano da Cassa Deposititi e Prestiti – per la sua esperienza internazionale nel settore, l’innovativa infrastruttura tecnologica e il know-how strategico-commerciale utile all’espansione della piattaforma”. Nessun dettaglio sugli accordi che dovranno esser stipulati con i singoli enti o che si sovrapporranno a quelli già esistenti (vedi Scala-Rai). Il reperimento dei contenuti, insomma, è ancora una chimera. E a chi si chiedesse come mai la Rai non si occupi di questa piattaforma, la risposta è nel fatto che la Rai, per statuto, non può emettere contenuti a pagamento, esigendo già il canone annuo. Mentre questa piattaforma di Stato promette introiti sussidiari a chi è stato fermato dal virus (stiamo parlando di enti, ma non di artisti, al solito confinati in un limbo di incertezza), i teatri hanno però già cominciato ad organizzarsi da soli. Il Teatro Massimo di Palermo è stato il primo in Italia a trasmettere in diretta tutte le inaugurazioni di stagione. Nel 2015, quando si cominciò col Crepuscolo degli dei, sembrava un atto di autolesionismo. “Molti si chiesero ‘e ora chi comprerà il biglietto?’ – ammette Gery Palazzotto, direttore Comunicazione dei nuovi media del Massimo – ma la scommessa è stata vinta ampiamente, anzi ha dimostrato che lo streaming non mangia il pubblico reale, ma addirittura ne porta di più: da quell’esperimento, poi sempre ripetuto, la crescita dei biglietti è stata del 45%”. All’epoca il Massimo debuttò con appena quattro telecamere. Oggi ce ne sono nove e molto più moderne. Ma sarebbe ingenuo pensare che sia solo un problema di quantità dei mezzi tecnologici. “L’offerta streaming – spiega Palazzotto – non si può limitare solo a quello che si vede sul palcoscenico. In tempi digitali, bisogna ragionare come se ci fossero due teatri da portare avanti. Il primo, quello tradizionale, è il volano. Il secondo serve a offrire contenuti diversi per un pubblico sia tradizionale sia nuovo, magari più attento al dietro le quinte. Ci siamo accorti, per esempio, che ‘lasciare’ accesa la telecamera durante gli intervalli, andando nei camerini o nel backstage, faceva aumentare sensibilmente gli ascolti”. Se a Palermo, durante l’emergenza, si sono trovati letteralmente la tavola apparecchiata, a Bergamo il Donizetti Opera Festival l’ha dovuta allestire ex novo. “Anni fa – ricorda Andrea Compagnucci, braccio destro del direttore artistico Francesco Micheli – si temeva quello che stava succedendo al Met di New York, dove il calo della biglietteria si riteneva fosse ‘causato’ dallo streaming. Ma era una prospettiva sbagliata. Primo, perché il pubblico americano era già molto più scafato con il digitale e le carte di credito; secondo, perché non consideravamo ancora lo streaming come produzione di contenuti aggiuntivi, che è stato il segreto della neonata Donizetti WebTv”, cui si sono abbonati 2.200 utenti.
A conti fatti, Bergamo ha dimostrato che lo streaming non solo è necessario, ma per giunta sostenibile. “L’operazione ci è costata 110.000 euro, ma tra sponsor e incassi ne abbiamo ripresi quasi 170.000. La scommessa non è stata vinta solo nei numeri: con la chat room, dove il pubblico poteva interagire in diretta, abbiamo ripristinato uno degli aspetti fondamentali del teatro: la socialità. Ed è da qui che dovremo ripartire”. Abituare il pubblico a pagare per lo streaming è una sfida complessa. Il San Carlo di Napoli ci ha provato attraverso una produzione registrata di Cavalleria Rusticana, con biglietti simbolici a poco più di un euro. Stesso prezzo fissato dal Regio di Parma per la Nona di Beethoven diretta da Mariotti. “L’esperimento che abbiamo fatto con lo streaming di ‘Cavalleria’ e del ‘Gala Mozart Belcanto’ – spiega il sovrintendente Stéphane Lissner – ci ha resi orgogliosi e ci ha dato lo sprone a continuare su questa strada, quindi a migliorare la tecnologia e adeguare i mezzi di comunicazione aprendo al digitale e abbracciando così un nuovo pubblico. Una iniziativa che andrà avanti anche quando avremo superato questo periodo difficile e che affiancherà lo spettacolo dal vivo”.
Grazie alla prima piattaforma on line di un Teatro d’Opera in Italia, il “San Carlo Digital Opera House”, il teatro partenopeo si è dotato di una piattaforma di servizi per la produzione, la lavorazione e la distribuzione di video in modalità live e on demand in qualità full Hd. Giocando d’anticipo sulla Netflix della cultura, il San Carlo prevede anche la realizzazione di un portale web e di app necessarie alla fruizione e all’acquisto dei contenuti, in collaborazione con Tim, che fornirà la configurazione di un sistema di telecamere di qualità broadcast completo di controllo camera robotizzato e ottiche specifiche per le riprese ad altissima risoluzione in condizioni di scarsa luminosità, nonché un banco regia con mixer video e audio di ultima generazione e di un impianto di ripresa audio sul palco, che consentirà quindi di vedere da vicino, come non mai sarebbe possibile a teatro, i volti degli artisti. Sui contenuti a pagamento, con biglietti ancora a prezzi popolari, si è proiettata pure l’Accademia di Santa Cecilia, che con 5 euro in gennaio ha permesso di ascoltare i concerti sinfonici diretti da Daniele Gatti. “La collaborazione con la piattaforma Idagio – spiega Michele Dall’Ongaro – ci ha permesso di ampliare l’audience, dagli Usa all’Australia fino alla Cina. È importante sondare il mercato online a pagamento. Il Web era saturo di offerta. Anche prima della pandemia si poteva trovare di tutto, e gratis. Non c’era un vero incentivo a spendere. Come si entra in un mercato apparentemente impenetrabile come questo? Solo con il fascino della diretta, col suo pathos insostituibile. Di sicuro, soprattutto noi che ci occupiamo di eventi sinfonici, dovremo inventare format adeguati al nuovo linguaggio. Non si possono usare nuovi mezzi con vecchi metodi. Il pubblico passivo non esiste più. Abbiamo da imparare molto dai programmi già esistenti. Quelli che si occupano di cucina mostrano soprattutto la preparazione, che è molto più divertente del piatto in sé. Ecco, alla stessa maniera dovremo mostrare la vita dei musicisti, quello che pensano, la fatica che sta dietro il loro lavoro, mostrare il corpo, i tendini, il sudore”. E qui torna la domanda di partenza: perché non si è mai deciso di puntare su questo tipo di contenuti, da sempre disponibili? “Guardavamo l’esperienza dei Berliner come un unicum – ammette dall’Ongaro – e pure con un po’ di invidia. Mentre i teatri d’opera affrontavano il tema con le proiezioni cinematografiche, noi ‘sinfonici’ avevamo la difficoltà di immaginare qualcosa con una prospettiva più laterale.
Ma adesso è venuto il momento di farlo seriamente. Per Santa Cecilia i concerti senza pubblico sono un danno secco del 20% sul bilancio. E se consideriamo le spese fisse dei concerti, della produzione audio video e degli investimenti tecnologici, sappiamo bene che questi ritmi non sono sostenibili all’infinito”. Ecco perché, per esempio, il Comitato Amur, che raccoglie alcuni dei principali enti concertistici italiani, compresa la storica Società del Quartetto di Milano, ha prodotto la prima stagione digitale collettiva, dividendosi così gli oneri e producendo un vero e proprio cartellone digitale nazionale. Sulle nuove frontiere del rapporto ascolto/immagine l’Accademia Chigiana ha costruito addirittura un convegno, ovviamente online, dal titolo emblematico: Re-Envisaging Music. Listening in the Visual Age, trasmesso sulla nuova piattaforma nativa Chigiana Digital.
“Il vedere e l’ascoltare sono sempre stati inestricabilmente legati – spiega Nicola Sani, direttore artistico dell’Accademia -. Bisognerà chiedersi sempre di più in che modo i nuovi sviluppi tecnologici influenzano le nostre esperienze di ascolto e performance, come influiscono sul modo di pensare e sull’identità delle diverse tradizioni musicali, dalla ‘classica’, all’opera, dal jazz alla popular music. Lo scopo del nostro convegno è stato quello di esplorare i nuovi scenari che ruotano attorno a queste domande e il modo in cui le tecnologie della comunicazione trasformano luoghi e rituali dell’ascolto e della performance, cambiando inevitabilmente la condizione dello spettatore”, che è diventato sempre più spett-attore, in un’epoca in cui i contenuti culturali avevano già cominciato a non essere più esclusivamente rintracciabili nei luoghi tradizionali: i libri sui tablet, i musei nei virtual-tour, le opere sul pc. Ma se l’elemento della rivelazione “fisica” resta imprescindibile, la tecnologia potrà fornire suggestioni alternative. “Nel balletto Romeo e Giulietta – ricorda Palazzotto – a Palermo abbiamo usato per la prima volta una steadycam che entra sul palcoscenico. Questo cambia letteralmente tutto, perché ci ha consentito di fare un piano sequenza di dieci minuti sul volto e sulla tensione degli artisti. Con adeguati investimenti nell’audio, ci siamo dotati anche di speciali microfoni panoramici. E il futuro sarà la possibilità, per ogni spettatore, di guardare lo spettacolo dall’angolazione che preferisce, attivando le telecamere all’interno del teatro, direttamente a casa sua, come farebbe un regista”. Siamo pronti per la sfida?
Luca Baccolini
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