FIRENZE – “Scrivo ancor tre righe a volo”, come Rodolfo, a commento della serata incandescente che ha avuto come protagonista Anna Netrebko in un programma interamente verdiano. Sarebbe inutile ripeterlo, ma ogni volta non si può farne a meno: che voce, porca miseria! e che tecnica la sostiene! Estensione enorme dalle stelle agli inferi lungo una linea ampia, senza un gradino che sia uno, morbida, omogenea, debordante d’armonici che in certe arcate tipicamente verdiane s’espandono rendendo intima stanzetta ogni sala non importa quanto grande, e tu ti senti letteralmente trasportato da queste ali luminose che per giunta ti raccontano, ti emozionano, ti spalancano psicologie in ebollizione. Lady l’avevo ascoltata poche settimane prima a Vienna nel più bel Macbeth della mia vita, e qui è riuscita a sprigionare una tensione e una profondità espressiva tali da immaginarti Verdi e Shakespeare fusi in un “qualcosa” che si lascia indietro tutto quanto ascoltato fin qui: perché il tempo passa, la sensibilità del fraseggio inevitabilmente muta, e quando è del tutto contemporanea al nostro modo di sentire e di recepire, i classici restano classici ma i contemporanei “smuovono” di più. almeno a me. La sua prima Abigaille è già sbozzata a livello stratosferico, la sua Leonora (del Trovatore) ormai è punto di riferimento, e “Ritorna vincitor” non ha al momento paragoni possibili. Circa i bis, lasciamo stare i pur favolosi Babbino caro e cabaletta di Leonora ripetuta: la maledetta Anna ha cantato il valzer di Musetta, e così me l’ha ammazzato. Come faccio adesso ad ascoltarlo da un’altra?
Ma poi: è un animale da palcoscenico semplicemente portentoso. Ti entra in scena inguainata in un abito verdazzurro con spacco vertiginoso sulla sinistra, e le ampie falcate mettono in mostra col loro vedo e non vedo una gamba mozzafiato, mentre il sorriso radioso che illumina il viso rivolto alla platea, accompagnato dalla mano che disegna un Ciao cameratesco, è quello della vera, autentica Diva moderna: quella che non gioca né la carta del divismo squacquerone delle tendedipendenti né quello dell’antidiva. Perché Diva lo è in quanto eccelsa cantante e ancor più eccelsa interprete, ma l’una e l’altra ammantate da quel carisma che se ce l’hai spacchi, e se no pazienza perché non si può imparare.
Per ultimo a causa della mia non nascosta vena di appassionato di cose vocali, ma certo non in ultimo circa la sensazionale riuscita della serata: l’orchestra è stata diretta in modo strepitoso da Marco Armiliato, che le quattro più belle sinfonie verdiane le ha portate al calor bianco, e ha accompagnato un mostro come questo senza nessuna soggezione da tappetino ma anzi collaborando attivamente a che i brani non fossero semplice mercanzia vocale bensì vere interpretazioni.
Elvio Giudici
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