Soprano Angela Meade Pianoforte Carmen Santoro Mezzosoprano Marianna Pizzolato Pianoforte Daniela Pellegrino Mezzosoprano Veronica Simeoni Pianoforte Vincenzo Rana
MARTINA FRANCA – I numerosi concerti di canto sono una relativa novità nell’ambito del festival della Valle D’Itria (nella foto uno degli scorsi spettacoli, di cui pubblicheremo la recensione nel numero 268 di “Classic Voice”, ndr), varati l’anno scorso per far fronte, almeno parzialmente, alle note difficoltà causate dal Covid. Ma regalano serate magnifiche grazie ai nomi cui sono affidati, alle loro scelte programmatiche e, non da ultimo, alla suggestione dei luoghi in cui si svolgono: il cortile del castello aragonese affacciato sul porto di Taranto per la Meade, per Pizzolato e Simeoni due splendide masserie nell’interno, a cui si giunge dopo una traversata tra gli ulivi (i danni della Xylella sembrano in via di soluzione) che nella luce vespertina prepara alla musica con un tocco di stupenda suggestione.
Tre diversi salotti vocali ottocenteschi.
Angela Meade ha cantato brani da camera di Verdi e Meyerbeer accostandoli ai tre Lieder op.22 di Erich Korngold, autore quest’ultimo che si fa di rado ma ogni volta ti chiedi come mai, considerato il valore delle sue musiche, altissimo sia che si tratti delle celeberrime sue colonne sonore hollywoodiane, sia dei suoi lavori teatrali, sia delle sue composizioni sinfoniche e concertistiche, sia appunto dei suoi lavori da camera, autentici gioielli che tuttavia richiedono fior di esecutori considerando le notevoli difficoltà di scrittura. Difficoltà che per la Meade semplicemente non esistono. Voce ampia, estesa, omogenea, padrona d’ogni diavoleria tecnica. Ma anche interprete capace di dar senso ad ogni nota. Di Verdi ha ad esempio fatto ascoltare l’Ave Maria: composizione scabra, tutta centrale, priva d’ogni “belluria” melodica, questa sorta di (senz’altro inconsapevole) sinopia preparatoria della pagina che sarà intonata da Desdemona potrebbe risultare monotona, ove non fosse stata cesellata e soffusa di austera, intensissima commozione dall’accento di un’interprete ispirata. Nemmeno sarebbe da sottolineare poi i prodigi fatti ascoltare nella scena finale della belliniana Beatrice di Tenda: passaggi di diabolica difficoltà scivolavano via come fossero quisquilie per principianti, ogni virtuosismo riassorbito in quella patina di lancinante melanconia che è Bellini come più non potrebbe essere. Cantante suprema, interprete toccante.
Il salotto di Marianna Pizzolato era un po’ più colloquiale, direi amichevole: il sempiterno “Caro mio ben” introduceva a notissimi brani cameristici di Rossini e Bellini, con la curiosità d’un Giuseppe Gariboldi (sic, con la o) che s’è scoperto essere un maceratese celebre flautista. Per finire con Tancredi e Isabella di Rossini, da sempre cavallo di battaglia di questa valorosa cantante tuttora in possesso d’una delle più belle e solide voci che questo repertorio abbia avuto negli ultimi tempi.
Ma forse, la sorpresa maggiore è venuta dal concerto di Veronica Simeoni. Accompagnata dal magnifico pianoforte di Vincenzo Rana (buon sangue non mente, pensando a Beatrice…), la serata si divideva tra il repertorio lirico francese (Alceste, Didon, Sapho) e Lieder di Strauss e Mahler. Una meraviglia di linea vocale, di perfezione di stile, di intensità espressiva priva d’ogni sovrastruttura o cincischio che potesse far da schermo alla comunicativa più immediata: che è poi il segreto della vera grande artista, cosa tutta diversa e di ben altro valore rispetto alla semplice ancorché dotata cantante. Che Veronica Simeoni sia una grande artista lo sapevo già: ma che fosse capace di simile profondità attraverso simile (apparente) semplicità, l’ho scoperto appieno in questa magica serata pugliese che mi auguro sia solo la prima d’una lunga serie.
Elvio Giudici
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