MILANO
La Scala intendeva chiudere la stagione in allegria, allestendo per la prima volta la celeberrima operetta di Lehár. Ma lo ha fatto male, e il risultato è stato solo una parodia, sfarzosissima e nient’affatto allegra, della famosa Vedova. A cominciare dall’orchestra, estranea a questo repertorio, dalla quale il direttore israeliano Asher Fisch non è riuscito a ottenere quei ritmi, levità ed effetti timbrici cui la partitura fa continuamente ricorso. Nonostante i nomi di rango, nemmeno il cast ha brillato: per prima la protagonista, Eva-Maria Westbroek, grande interprete wagneriana e pucciniana al suo debutto milanese, deludente per gli acuti forzati e la pedestre recitazione. Decisamente più superficiale bontempone che fascinoso viveur il Danilo di Will Hartmann. Identico l’esito di Dmitri Korchak, in Rossillon: buon cantante ma poco credibile come irresistibile seduttore; teatralissima, invece, la sensuale Valencienne della brava, bella e spigliata Nino Surguladze. Disastroso Njegus, personaggio fra i più esilaranti della letteratura operettistica trasformato da Pizzi in un narratore che spiega la trama tra un numero e l’altro: ruolo coperto non da un attore ma da Philippe Daverio, colto e gradevole affabulatore avvezzo ai salotti televisivi ma non al palcoscenico, dove non si può sostituire una carente memorizzazione con l’improvvisazione, né un’elegante erre moscia può supplire a una dizione deficitaria e male amplificata. Deludente tutto lo spettacolo, impostato come un musical anni Trenta, tipo Ziegfeld Follies, per il quale però non basta una passerella percorsa da cantanti, figuranti e ballerini impacciati, né una grande scala discesa con maldestro ancheggiare da una Hanna Glawary in tenuta da Jean Harlow. (24 novembre 2008)
La versione completa di questa recensione compare sul numero 115 (dicembre 2008) di “Classic Voice”.