Lehár – La vedova allegra

Lehar - La vedova allegra

[interpreti] R. Kabaivanska, D. Mazzuccato, M. Melbye, L. Canonici, E. Pandolfi
[direttore] Daniel Oren
[regia] Mauro Bolognini
[regia video] Mauro Bolognini
[orchestra] Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
[formato] 4:3
[sottotitoli] It.
[dvd] O1 distribution 00958

Successo incredibile, quello di Die lustige Witwe, eppure nato da un azzardo: nel 1905 Leo Stein assiste a Vienna al revival di una commedia di Henri Meilhac, che Parigi nel 1861 non aveva accolto bene, mentre l’adattamento tedesco aveva avuto miglior fortuna, e ne trae con Victor Léon un libretto frizzante per un’operetta. Sembra la migliore occasione per risollevare le sorti del Theater an der Wien, anche se la musica è affidata al giovane Lehár solo in seconda battuta e non senza titubanze. Pochi i soldi, si va in scena con scene e costumi di reimpiego: ma l’esito è travolgente e proietta l’autore nell’empireo. Incominciano anche le trasferte: Berlino, Trieste e, tappe importantissime nel 1907, Londra al Daly’s Theatre (con testo inglese, azione spostata dall’inesistente Pontevedro all’ancor più evanescente Marsovia e soprattutto vari brani aggiunti per l’occasione) e New York. Nello stesso anno, a Vienna, si spengono le quattrocento candeline sulle recite. Una vita avventurosa e intensa, visto il numero delle nazioni coinvolte, ma anche delle traduzioni e delle versioni musicali diverse dall’originale, anche per il cinema (il film di Lubitsch del 1934). Tanta fortuna si deve all’inarrivabile esprit della musica, capace di riassumere un’epoca, infondendo linfa vitale a personaggi che risultano veri esseri umani e non stereotipi da cartolina, e avvolgendo con languore e raffinata eleganza, grazie allo sfrenato sottofondo delle danze (dal valzer al cakewalk), una vicenda dai connotati erotici: l’attrazione tra Hanna Glawari e il conte Danilo, un tempo amanti ma sposi mancati per l’avversione della famiglia di lui a causa delle umili origini di lei, riesplode quando Hanna, ricchissima vedova di un banchiere dell’immaginario Pontevedro (“20 milioni”: a tanto ammonta la cifra del suo patrimonio, che a teatro viene spesso rivalutata), diventa preda ambita di spasimanti ansiosi di mettere le mani sul denaro, che è bene rimanga nelle casse della banca del non facoltoso principato. Nella cornice apparentemente lussuosa dell’ambasciata di Parigi, il candidato a salvare la patria è il conte Danilo, ma la vedova capitolerà soltanto quando, dopo vari equivoci (messi in moto dal tentativo di occultare il flirt tra Valencienne, la bella e giovane moglie dell’ambasciatore, e lo spasimante Camille, legati anche ad un ventaglio compromettente), sarà sicura del vero amore del giovane. Passione, dunque, ma anche denaro e matrimonio: tanti sono i volti di questa operetta, che si può mettere in scena nei modi più diversi: come un gioco malizioso e ironico tra i due protagonisti oppure accentuando l’attrazione fisica. Una chiave di lettura più moderna, quest’ultima, che ha avuto il sopravvento in alcuni recenti spettacoli: ad esempio a Parigi nel 1997, tutto ruotava intorno al fascino carismatico e alla  complessità psicologica di Karita Mattila e Bo Skovhus, complice la regia di Lavelli che sottolineava il motivo della crisi sentimentale con accenti anche amari; e a Zurigo nel 2004, in un contesto più semplice e lineare, era evidente l’intento di concentrare l’attenzione sul versante della seduzione, scegliendo cantanti-attori di particolare abilità scenica, avvenenza e quindi credibilità (Dagmar Schellenberger e Rodney Gilfry, nel dvd Arthaus Musik). Ma la vicenda si può raccontare anche in modo ironico e allusivo, come ad esempio in molteplici versioni inglesi, in cui prevale il gusto della battuta mordace e della parodia divertente di un certo tipo di società: emblematica la regia liberty e con tocchi di kitsch di Lotfi Mansouri, con Joan Sutherland nel 1988 a Sydney (ed. Bonynge, come già nel 1976 a Vancouver: Dvd Kultur e selezione in cd Decca) e poi con Yvonne Kenny e Bo Skovhus nel 2001 a San Francisco (dvd Opus Arte).

Se The Merry Widow non è come Die lustige Witwe, e imita i colori sgargianti del musical o di Gilbert & Sullivan,  la stessa cosa si può dire de La vedova allegra in versione nostrana: quando poi l’edizione italiana è affidata, come nel caso dello spettacolo di Bolognini a Roma nel 1991, a fuoriclasse del calibro di Raina Kabaivanska, Daniela Mazzuccato e Mikael Melbye, e ad una regia costruita non solo per il grande palcoscenico, ma anche per la passerella (costumi di Piero Tosi e primo ballerino Raffaele Paganini), allora il risultato è un video che, nel suo genere, si piazza ai primi posti, anche per l ripresa televisiva e talune parti di fianco (una spanna sopra tutti, l’eccezionale Njegus di Elio Pandolfi, che giustamente si è fatto assegnare da Oren l’aria scritta da Lehár per le recite londinesi del 1907). Due parole sui dischi, che sono tantissimi. Privilegiando la versione originale, non ci si può privare dei classici: la prima registrazione (quasi) integrale dell’opera, parte di un’impresa memorabile di registrazione di operette ideata da Walter Legge per la Emi nel 1953 (Schwarzkopf allo zenith, già grande il giovane Gedda, mitica la direzione di Otto Ackermann; peccato per Kunz che gioca di rimessa); il remake del 1962 (Schwarzkopf ancora maestra di souplesse e accento, Waechter irruente, Gedda superbo, magnifica direzione di von Matacic); l’edizione di Karajan con i Berliner del 1972 (impressionante ricchezza di dettagli, ma anche distante dalla tradizione viennese: tempi lenti e sonorità a volte troppo telluriche; nel cast superlativa la Harwood, efficace Kollo). La migliore alternativa recente è l’integrale dei Wiener Philarmoniker, diretta da Gardiner, con un buon cast.
Giovanni Chiodi

Prodotti consigliati
306 Novembre 2024
Classic Voice