MILANO
[pianoforte] Maurizio Pollini
[teatro] alla Scala
(ph. Philippe Gontier)
Dopo più di 24 anni dalla sua precedente esecuzione scaligera Pollini ha presentato nuovamente al pubblico milanese quello che è probabilmente il testo più famoso mai scritto per la tastiera. La tastiera appunto, quella del clavicordo o del clavicembalo, non quella del pianoforte che innescò almeno fin dai tempi di Mendelssohn una meravigliosa serie di riscoperte che hanno lasciato l’imprinting su quasi tutte le interpretazioni successive di questo capolavoro. Diciamo senza mezzi termini che la differenziazione di timbro possibile sul moderno pianoforte si presta assai bene a porre in evidenza il complicato gioco di intrecci che va a costituire il contrappunto bachiano, e in tal senso si rivela essere una fonte di sommo piacere estetico. L’ultima incisione del Clavicembalo effettuata da Barenboim, ad esempio, ricca di raffinatissima vitalità pianistica, espone come meglio non si potrebbe ogni entrata delle voci, le diminuzioni e gli aumenti, il moto retto e contrario, senza che l’ascoltatore debba per forza prendere lo spartito in mano e rendersi conto di ogni dettaglio del segno scritto.
A me sembra che Pollini, allora come oggi, rifiuti quasi interamente questa tradizione oramai secolare, e ritorni a quello che probabilmente era il modo di suonare Bach in era preottocentesca (forse lo suonava così anche il piccolo Ludwig van, costretto dal padre ?) senza cioè poter utilizzare il timbro in senso descrittivo. Il problema è che il mezzo del quale si serve Pollini è appunto il moderno pianoforte e allora i conti non tornano del tutto. Si ammira la coerenza stilistica assoluta, si ammira l’immane tour de force di memoria, si ammirano certi richiami metastorici che ci colgono di sorpresa, come l’ascoltare dal suono granitico del pianista certe analogie tra la fuga in si minore e la sezione del Canon cancrizans nella 106 di Beethoven, ma si perde d’altro canto una visione multidimensionale del contrappunto che rende più “piacevole” l’ascolto. Si è trattato in ogni caso di una impresa che ha richiesto all’interprete una immane concentrazione e partecipazione emotiva, salutata alla fine dall’affetto inestinguibile del pubblico tutto e da un fraterno abbraccio da parte di un emozionato Barenboim.
Luca Chierici