Rossini – Piccinni – Il turco in Italia – Il finto turco

Rossini - Piccinni - Il turco in Italia - Il finto turco

VICENZA

[interpreti] L. Regazzo, S. Dalla Benetta, F. Morace, G. Mastrototaro
[direttori] Giovanni Battista Rigon; Federico Guglielmo
[regia] Francesco Micheli
[teatro] Teatro Olimpico


Incentrata sul tema delle “turcherie” caro al teatro musicale a cavallo tra Sette e Ottocento, la doppia serata Rossini / Piccinni alle Settimane Musicali al Teatro Olimpico ha dato vita a una sorta di festival nel festival. Tra i due autori, a giochi fatti, ne ha scapitato il secondo: un po’ perché l’esecuzione in forma di concerto blocca un lavoro come Il finto turco, che avrebbe bisogno di molti accorgimenti scenici per chiarire una vicenda intricatissima, e un po’ per l’obiettivo dislivello tra un capolavoro assoluto e un lavoro che forse non senza ragioni è rimasto fuori repertorio. Resta l’impressione che Piccinni abbia preso male qualche misura, dilatando le dimensioni della coppia destinata ai siparietti comici e lasciando sullo sfondo l’intreccio larmoyant del finto turco per amore, che dovrebbe costituire il nocciolo della vicenda, ma poco importa: l’abbinamento dei due titoli resta sfizioso, e il fatto che per Il turco in Italia si sia scelta una versione ignota – quella in vernacolo napoletano approntata nel 1820 per il Teatro Nuovo sopra Toledo – raddoppia l’interesse. Il revisore partenopeo del libretto di Romani si prese molte libertà: la trasformazione di Don Geronio da buffo, sì, ma dignitosissimo anziano marito innamorato a tutore babbeo da imbrogliare senza scrupoli modifica i pesi drammaturgici, trasformando “Per piacere alla signora” in un terzetto e sottraendo a Geronio “D’un bell’uso di Turchia” (a duettare con Selim qui è Prosdocimo). Ne deriva un pastiche talvolta incongruo, da delibare più con divertimento che con convinzione; i semiologi, poi, troveranno interesse dal confronto tra il dialetto quotidiano di quest’adattamento e il napoletano più letterario del libretto approntato da Antonio Palomba per Piccinni. Alla fine, come sempre, a imporsi è il genio rossiniano: Rigon dirige con scelte dinamiche di brusca efficacia, trasformando in pregio espressivo le caratteristiche di un’orchestra che tra il piano, il mezzoforte e il forte non sembra avere sonorità intermedie; e Micheli, nei limiti imposti dalla scenografia del Teatro Olimpico (cornice spettacolare, ma anche griglia rigidissima), firma una regia agile e moderna, basata su una sorta di drammaturgia dei colori che deve molto alle costumiste dell’Accademia di Belle Arti di Brera che l’hanno coadiuvato. In palcoscenico spicca il Geronio di Morace, tanto morbido quanto sapido, mentre Mastrototaro è un ottimo dicitore, specie se non forza. Regazzo alla “prima” soffriva di raucedine: e la tendenza – palese – all’imitazione di Ruggero Raimondi non è troppo consigliabile, quando si ha la voce un po’ in disordine. In Piccinni s’impone per potenzialità vocali, ma più ancora per capacità espressive, Arianna Donadelli quale finto turco en travesti, mentre la comicità ruvida e stralunata di Matteo Ferrara ha dato spessore al buffo Bernardone e l’aplomb bruscantiniano di Gianpiero Ruggeri ha conferito un’eleganza quasi eccessiva al personaggio dell’imbroglione Giancola.

Paolo Patrizi


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306 Novembre 2024
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