interpreti J.-M. Charbonnet, V. Vaneev, S. Kunaev, V. Grivnov
direttore James Conlon
orchestra Maggio Musicale Fiorentino
regia Lev Dodin
regia video Andrea Bevilacqua
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp., Russo
2 dvd Arthaus 101387
Filmato nel 2008, lo spettacolo aveva mostrato già una decina d’anni prima la sua splendida scenografia tutta listoni lignei e su due livelli di David Borovsky, il leggendario collaboratore per oltre trent’anni di Yuri Lyubimov al teatro Taganka: morto nel 2006, la sua opera è stata rimontata alla perfezione dal figlio Alexander, anch’egli scenografo e attuale colonna sia del teatro d’Arte di Mosca sia dell’Alexandrinsky di San Pietroburgo. Il teatro Malyj di San Pietroburgo, che Lev Dodin guida in prima persona dall’83 dopo avervi impresso una determinante svolta nei dieci anni antecedenti, nella sua spiccata impronta psicologico-realistica è parecchio affine al linguaggio cui s’è sempre attenuto il Taganka (e d’altronde, Borovsky creò le scene per Lyubimov allorché questi montò nel 1990 la Lady Macbeth ad Amburgo): in entrambi, la marcata rinunzia al naturalismo porta a impiegare gli (scarsi) oggetti quotidiani quali materiali inerti d’un procedimento narrativo centrato per intero sulla fisicità attoriale. Recitazione che quanti hanno applaudito i molti suoi spettacoli di prosa a Milano e Torino riconosceranno subito come tipicamente riferibile a Dodin: articolatissima nel basarsi su quadri d’insieme di straordinaria fluidità, ogni momento conseguente all’altro e ciascuno mirato a definire psicologie spicciole che, sommandosi e integrandosi alla perfezione, compongono uno spaccato sociale. Là dove serve, Dodin ricorre anche al naturalismo: virandolo però in simbolo, sorta di primo piano simultaneamente scenico e musicale (sottolineato in tal caso dal salire del piano su cui siede l’orchestra fino al livello del palcoscenico; in dvd, inevitabile, l’effetto si perde un po’), ottenendosi non già un allentamento di tensione bensì l’esatto suo contrario. Esempio calzante, la celebre scena di sesso tra Sergei e Katherina: quando il frenetico ondeggiare d’una semplice lampada di ferro appesa al soffitto allude agli invisibili colpi di reni con un’efficacia la cui intensità ciascuno costruisce con la propria fantasia e recettività nel confrontarsi col magmatico ribollire strumentale.
In perfetta identità d’approccio, la direzione di Conlon evidenzia i più minuti particolari integrandoli uno nell’altro con un procedimento “cinematografico”, per così dire, che è poi quello stesso su cui la partitura si costruisce: tutta rubati, sottili pulsioni dinamiche, esplosive scansioni ritmiche sciolte istantaneamente in microstrutture cameristiche che l’orchestra sostiene superbamente, così che l’atmosfera creata dall’esemplare fusione di suono e gesto cattura alla prima nota e non ti lascia se non all’ultima. Un tipo di spettacolo, inoltre, ideale a riassorbire talune falle vocali attribuibili a carenze più fisiche che tecniche..
Un po’ esile e corta, difatti, la voce di Sergei Kunaev per reggere le impennate di Sergei; e percettibili durezze nelle repentine fiondate all’acuto d’una Charbonnet molto più soprano lirico che spinto: ottimi attori entrambi, però (lei, in particolare, trova nella scena finale momenti strepitosi), e soprattutto capaci di fraseggiare lungo una tavolozza accentale che tale recitazione giustifica e completa in modo magnifico. Il Boris di Vladimir Vaneev, poi, è memorabile. Non ricerca una grandiosità plebea ma accentua invece la piccineria laida di chi ha i soldi e comanda con becera cattiveria perché la struttura sociale glielo consente: linee vocali dunque non caricate ma al contrario sfumate, contorte, con repentine oasi d’una sensualità come sfatta, che capisci subito quanto sia venata di sadismo, cui si contrappongono scatti isterici di perfidia compiaciuta. Superbi i molti – e tutti determinanti – ruoli di fianco, e benissimo il coro: gli insistiti primi piani del quale, tuttavia, evidenziano a mio parere troppo il sensibile divario tra canto, ottimo, e recitazione invece alquanto parrocchiale.
Elvio Giudici