Verdi Ernani

interpreti F. Meli, M.J. Siri, R. Frontali, V. Kowalijow
direttore James Conlon
orchestra Maggio Musicale Fiorentino
regia Leo Muscato
regia video Matteo Ricchetti
dvd Dynamic 37972

Molto fuoco, azione moltissima, brevità”: questo il dettame di Verdi – più volte ricorrente nel suo epistolario indirizzato ai librettisti – nella prima fase della sua carriera artistica. Non sempre valido, certo, e purtroppo spesso frainteso dalla cosiddetta tradizione esecutiva che l’ha equiparato al darci dentro il più possibile, equivocando in banale retorica l’aulica oratoria che invece è la costante lingua verdiana. Ernani ne ha fatto quasi sempre le spese, specie se le locandine inanellavano nomi altisonanti: come proprio a Firenze, nella supercelebrata edizione del 1957 con Mitropoulos ad accompagnare Del Monaco, Bastianini, Cerquetti, Christoff. Muro del pianto? Per quanto mi concerne, manco per idea: infuocata, sì, ma scomposta, tutto forte e declamatorio, voci che celebrano se stesse senza minimamente cercare di dare senso alla parola verdiana e quindi costruire un personaggio che abbia qualcosa di più consistente della benedizione vocale.
Oltre mezzo secolo dopo, anziché sdilinquirsi sul solito “oh rimembranza”, ascoltiamo con soddisfazione di molto maggiore una direzione elettrizzante non perché pesta sempre a più non posso, ma proprio per il contrario: tutta un chiaroscuro, piani e pianissimi a sorreggere un canto che scava nella frase alla ricerca del colore e quindi del significato più appropriato, e che quindi dà molto maggior valore – oltre che senso – alle improvvise, rapinosissime accensioni melodiche e ritmiche. Il cast si pone in perfetta simbiosi con l’impostazione del direttore: gran bel canto, ma soprattutto grande, riuscito sforzo di fraseggiare, sfumare, colorire anziché soltanto declamare e mettere in vetrina la propria mercanzia.
Francesco Meli, in primis: che di mercanzia ne ha comunque da vendere grazie al suo timbro di bellezza paradiasiaca, adattissimo a una parte come questa, il cui romanticismo s’esalta molto di più col velo di melanconia, di assorto lirismo che informa una linea vocale ovunque morbida, omogenea, con legati d’altra scuola e una capacità di variare la dinamica che è frutto di gran tecnica al servizio della fantasia d’un grandissimo interprete.
Roberto Frontali non gli è da meno: qualche durezza, l’età non più verdissima la fa sentire nello scabrosissimo “Vieni meco”, in cui tuttavia mai cerca la scappatoia dell’emissione aperta e spinta (e con la posizione sempre giusta nella “maschera”, nessuno di quei suoni nasali in cui incappano così tante voci più appariscenti), ma anzi sfuma e accenta con un fervore e una commozione che rendono giustizia piena a una delle pagine più ispirate di Verdi: e nella grande aria del terz’atto, sale in cattedra impartendo una vera e propria lezione di canto verdiano, ovverosia quello che non bada solo alla “canna” ma alla parola, al colore, all’espressione. Maria José Siri debuttava Elvira: sempre fascinoso il colore timbrico, ma il registro grave s’è impoverito non di poco abbondando d’aria calda in luogo della nota timbrata, laddove in alto ha ancora molto da offrire e comunque in ogni momento si sforza di accentare e fraseggiare con grande comunicativa.
L’anello relativamente debole del cast è Silva, che Kowalijow non canta propriamente male, ma con lo stile tipico degli slavi, pesante e con suoni vocalici del tutto peregrini, così che l’articolazione della frase è pasticciata oltre che risultare spesso incomprensibile: e non ha un gran senso ripristinare la cabaletta dell’aria, se poi si taglia la ripresa sfigurandola. La locandina annuncia una regia: non c’è, solo una sfilza di quadri viventi che in realtà sono morti data la costante immobilità di tutti quanti e il ricomparire del caro, antico braccio in avanti all’alzarsi della tessitura, per poi riportarlo al sicuro sul petto. Dove batte il cuore, oh maraviglia.
Elvio Giudici


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306 Novembre 2024
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