Interpreti I. Theorin, W. Meier, E.M. Westbroek, R. Pape, R. Gambill Direttore Daniele Gatti
Regia Nikolaus Lehnhoff
Orchestra Wiener Philharmoniker
Teatro Großes Festspielhaus
SALISBURGO – Se si prescinde da Dionysos, è parsa Elektra l’esito più compiuto tra i nuovi spettacoli d’opera del Festival 2010. Dirigendola per la prima volta Daniele Gatti rivelava e faceva sentire con grande approfondimento analitico dettagli che difficilmente è dato cogliere, tenendo un andamento generale un poco più lento del solito. La furibonda tensione in questa Elektra non nasceva da un andamento precipitoso, o da una continuità senza respiro, ma dalla violenta e tagliente accuratezza con cui ogni dettaglio era definito e dalla individuazione di colori lividi, cupi e inquietanti, ma ricchi di variegate sfumature, anche negli abbandoni lirici. Il rapporto orchestra-voci appariva perfettamente calibrato alla prova generale, mentre alla prima l’equilibrio si era rotto a favore di un soverchiante peso dell’orchestra: immagino che nelle repliche sarà stato agevolmente ritrovato.
Di grande rilievo anche la regia di Lehnhoff con la scena efficacissima di Raimund Bauer: il cortile della reggia è presentato in un prospettiva sghemba, con i muri di cemento inclinati nei quali si aprono sinistre feritoie (dalle quali si vedono le ancelle nella scena iniziale), con il suolo anch’esso inclinato, in cui vi sono grandi buchi (da cui alla fine si vedono uscire le Erinni che perseguiteranno Oreste). Ogni gesto degli interpreti è di rara intensità e pertinenza: tra le cose indimenticabili il lungo indugio di Oreste ed Elektra ad abbracciarsi nella scena del riconoscimento. Clitennestra, grazie anche alla presenza di una magnifica Waltraud Meier, appariva più giovane, più bella, meno viscida e ripugnante del solito, quasi una vittima anch’ella del destino. Lehnhoff e Gatti le hanno tolto l’odiosa e sguaiata risata alla falsa notizia della morte di Oreste (ridono invece le sue serve-confidenti). Alla fine una parete si apre e mostra una macabra immagine da mattatoio, con il cadavere della sola Clitennestra appeso per le gambe.
Oltre alla Meier, tutta la compagnia era di alto livello, anche se Irène Theorin nella impossibile parte di Elektra ha offerto una prova buona, ma non del tutto persuasiva, soprattutto per i limiti della sua dizione. Meravigliosa la Crisotemide di Eva-Maria Westbroek, autorevolissimo l’Oreste di René Pape, un lusso Robert Gambill nella breve parte di Egisto, presentato come un futile dandy.
Paolo Petazzi
(la cronaca completa del Festival di Salisburgo compare nel numero 137 di Classic Voice, ottobre 2010)