Bizet – Carmen

Bizet - Carmen

Interpreti E. Garanca, R. Alagna B. Frittoli, T. Thau Rhodes
direttore Yannick Nézet Séguin
orchestra Metropolitan
regia Richard Eyre
regia video Gary Halvorsen
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Ted., Sp.,Cin.
2 dvd Dg 0734581

Ogni nuova produzione del Met deve confrontarsi col fatto (ancor più marcato ove si tratti di titolo di grande repertorio) d’esserne obbligatoria una lunga, talora lunghissima serie di riprese. Impossibile quindi comporre una regia centrata con troppi particolari sui singoli, che cambieranno sempre e avranno un numero minimo di prove. Inoltre, su Carmen pesa il precedente di un altro regista inglese di gran nome, Peter Hall, che tolse la firma alla sua regia importata da Glyndebourne, perché tutta stravolta in nome dei suddetti principi. Sicché questo spettacolo di Eyre pare normale routine, ma può darsi benissimo sia stato progettato appunto come tale per ottemperare alle suddette esigenze: e in quest’ottica, è riuscito onorevolmente.
Dispositivo scenico intelligente nel suo poter ruotare mostrando di volta in volta interni o esterni, con soluzioni anche molto indovinate, come ad esempio l’interno del corpo di guardia al prim’atto, che conferisce intimità ma al tempo stesso imbarazzante promiscuità alle scene con Micaela; ma molto bello anche l’ambiente raccolto dell’ultimo scontro tra José e Carmen, sotto le volte circolari dell’arena, che sulle ultime note ruotano mostrando la pista sabbiosa dell’arena dove Escamillo ha appena ucciso il toro, in suggestiva analogia con la morte di Carmen. Ambientazione posposta di un secolo, dunque in piena guerra civile, come hanno già fatto parecchi (Giancarlo del Monaco il migliore, ma anche Calixto Bieito): ma avendo cura d’evitare ogni minima critica sociologica. Sicché, ad esempio, l’apparizione dei diversi preti tra i rappresentanti del potere si riduce a scenetta folcloristica anziché assumere quella sinistra valenza di fiancheggiamento che invece storicamente avrebbe: e funzionerebbe, in una storia che tra i protagonisti annovera degli zingari, che il franchismo com’è noto perseguitò ed “espulse”, se vogliamo usare quest’eufemismo. Ma soprattutto, la regia abdica a sottotesti di qualsivoglia tipo – storici, sociali, psicologici, familiari, sentimentali – per attenersi ai canoni più codificati della mangiatrice d’uomini che seduce un povero cristo sottraendolo a mammà e fidanzatina.
Nézet Séguin è una sorta di Plasson giovane, un po’ più nervoso e vivace, analogamente banale e attento a che ogni particolare musicale s’incastri ammodino con gli altri: per un’eventuale interpretazione, rivolgersi altrove. Discorso del tutto analogo per la protagonista. Canta tutto bene, sovente benissimo, con sbracamenti minimi (al duetto finale, per lo più) resi indispensabili dall’essere troppo chiara e leggera una voce che trova dunque soprattutto in alto la sua maggiore ragion d’essere: sotto le note, però, niente. Ma proprio niente. Non accento, non colore, non inflessione, non chiaroscuro all’infuori dei consolidati cliché offerti da un’immarcescibile tradizione che dai frusti stereotipi scenici (gonna rialzata, gambe larghe, andatura d’anca, piede che punta al sesso del povero cristo, insomma tutte le novità del caso) ricava analoghi stereotipi di fraseggio. Noiosa.
Alagna è ormai l’ombra del cantante che fu: apre i suoni, le continue contrazioni di gola gli impediscono ogni modulazione espressiva all’infuori del rantolo, del ringhio (il finale terzo è una tregenda), del falsettino smunto (il si bemolle conclusivo del fiore è un’ignominia), cui fa da contraltare una recitazione legnosa e risaputa, aggravata dall’aspetto fisico alquanto appesantito e invecchiato. Barbara Frittoli canta benino, ed è tutto. Teddy Tahu Rhodes ha sostituito all’ultimo minuto Marius Kwiecen: gli acuti sono tutti sfocati e sotto la nota, ma del cast è l’unico a sfoderare personalità scenica ed espressiva.
Elvio Giudici


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