violino Kolja Blacher
orchestra Mahler Chamber
direttore Claudio Abbado
cd Dg 476 4144
Stuzzicante l’accostamento delle due pagine, registrate al Ferrara Musica del 2007, accomunate – oltreché dalla data: 1925 – da quella sorta di necessità squisitamente novecentesca di riscoprire, analizzare, evidenziare e valorizzare timbri strumentali che il tardoromanticismo aveva teso ad amalgamare nell’orchestra. In entrambe, quella Sehnsucht così tipicamente tedesca che aveva inzuppato tutto il Romanticismo letterario e musicale e che era sembrata inaridirsi, sparendo sotto i riflettori beffardi dell’impressionismo, la sentiamo riemergere trasformata e più che mai affascinante in un serratissimo, quasi jazzistico, dialogo strumentale. Nel Concerto di Kurt Weill (venticinquenne al suo primo, significativo successo) il dialogo fra il violino e i fiati è basato su un vibrare sottile che fa pulsare la già breve zigzagante linea melodia, realizzando un prodigioso equilibrio. Lo stesso che ritroviamo, grazie alla lettura scintillante e trasognata di Abbado e Blacher, in una delle più rivoluzionarie creazioni di Paul Hindemith, quel vero e proprio concerto per violino, anch’esso in cinque movimenti, che è la Kammermusik n. 4. dominato da incisività ritmica, brillante quanto ardua tessitura del violino contrapposto a ottoni e percussioni, esasperata ricerca armonica anche negli episodi di lirica contemplazione. Un vero e proprio torrente di invenzioni, col solista sempre in primo piano ora febbrile, ora ironico, ora disteso.
di giancarlo cerisola