Interpreti J. Imbrailo, J. M.Ainsley, P. Ens
direttore Mark Elder
orchestra London Philharmonic
regia Michael Grandage
regia video François Roussillon
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Ted., Sp.
2 dvd Opus Arte 1051
Per il suo primo Billy Budd, Glyndebourne ha fatto le cose in grande anche per ciò che concerne l’effetto: più d’una strizzata d’occhio al cinemone d’avventura hollywoodiano genere Capitano Hornblower senza neppure la foglia di fico d’una spruzzatina più moderna alla Master and Commander. Poco o niente invece, in questo universo chiuso e oppressivo, dell’indagine psicologica capace d’agganciare l’autobiografia: quella che in Britten è sempre fondamentale, e che quattro anni fa rese memorabile il Billy Budd montato a Francoforte da Richard Jones (peso ben altrimenti massimo della regia inglese), il quale lo ambientò metaforicamente in un rigido collegio militare che con pertinente intelligenza e portentosa efficacia teatrale ricordava la tremenda esperienza di college da cui Britten uscì segnato per la vita.
Spettacolo di grande impatto, comunque: e, forte delle usuali sei settimane di prova imprescindibili a Glyndebourne, realizzato in modo senz’altro ammirevole. Una cosa, sono sempre gli spettacoli inglesi, non importa se sui palcoscenici prestigiosi del West End o sulle piccole ribalte di provincia: lavori di gruppo, centrati sulla recitazione. Pleonastico, quindi, levare lodi a una compagnia il cui valore totale eccede di molto la semplice somma dei singoli addendi: vera e propria lezione di cosa significhi un’altissima professionalità nell’alveo d’una tradizione orgogliosamente mantenuta. Non traduce granché del groviglio psicologico raccontato dalla musica: ma la storia, quella viene raccontata benissimo. D’altronde, a quella si ferma in linea generale anche la direzione di Elder: molto accurata, moltissimo professionale, abbastanza prevedibile. Logico pertanto che del cast l’anello debole sia Vere: Ainsley canta senz’altro bene e accenta con coscienza seguendo la via maestra tracciata da Pears, ma riesce francamente difficile scorgere le ragioni per cui la ciurma lo esalta come “Starry Vere”, e ancor meno credere al suo sempre descritto e magnificato carisma. Formidabile, in compenso, l’anima nera Claggart. Phillip Ens ha un fior di voce baritonale ampia, timbratissima, con accenti che non calcano mai troppo la mano sulla biechezza e proprio perciò riescono più temibili: lui sì, che di carisma ne sparge a piene mani. Jacques Imbrailo ha la voce chiara e la figura scattante che la parte di Billy esige: il fraseggio è più dalle parti dell’ingenua naïveté che dell’esaltazione visionaria nutrita d’utopia che la musica mi parrebbe invece suggerire, ma la simpatia se la conquista dopo poche battute. Il resto del cast, alla recitazione da fuoriclasse unisce canto più che onorevole; e le riprese di Roussillon – uno dei migliori registi televisivi moderni – sono funzionalissime alla narrazione.
di elvio giudici