solisti Miah Persson, Jeremy Ovenden, Andrew Foster-Williams
direttore Colin Davis
orchestra London Symphony
2sacd Lso 0708
Quando lo compose, il nome di Haydn era ormai osannato ovunque, ma Die Jahreszeiten non ha mai eguagliato la fama dell’altro grande oratorio composto cinque anni prima: Die Schöpfung (La Creazione). Se è vero che Le Stagioni non hanno pari forza evocatrice e passo epico, è anche vero che posseggono una più elevata complessità nell’articolazione degli spessori sonori, una maggiore libertà formale – coro più libero, strumentale più ricco – e che annoverano pagine di clamorosa bellezza, tali da nobilitare il carattere superficiale e rococò del libretto che Gottfried van Swieten aveva tratto da Milton. In un certo senso Le Stagioni costituiscono una sorta di manifesto della vita ideale di Haydn: tranquillità di spirito, sobrietà di costumi, amore per le cose semplici, ma anche valorizzazione umana e artistica di ciò che apparentemente sembra scontato e visibile solo in superficie. Qualità quest’ultima su cui punta la lettura del decano dei direttori inglesi tesa a rifuggire dal facile effettismo. Acclamato interprete – trent’anni fa – di un’altra incisione dell’oratorio, sir Colin Davis – che in tema di stagioni sta vivendo una nuova gloriosa primavera – valorizza le bellezze preromantiche della strumentazione, conferendo alla sua interpretazione il passo di una sciolta religiosità, basata su un linguaggio aulico e inserti popolareschi che i tre solisti, e soprattutto il vellutato London Symphony Chorus, rendono con gusto e scioltezza, in perfetta sintonia con la policromia musicale ingaggiata da Haydn a celebrazione del tradizionale mito tedesco della natura.
di giancarlo cerisola