Mozart – Le nozze di Figaro

Mozart - Le nozze di Figaro

interpreti E. Schrott, M. Jankova, M. Volle, M. Hartelius, J. Schmid
direttore Franz Welser-Möst
orchestra Opera di Zurigo
regia Sven-Eric Bechtolf
regia video Felix Breisach
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
2 dvd Emi 2-34481-9

Andrà a finire che rimpiangeremo le care vecchie caccole d’antan. Vanno infatti stratificandosi le caccole moderne sempre più sofisticate dell’intellettual-chic. Vero che, siccome di registi autentici si tratta, il gioco scenico è comunque fluido, calibratissimo, il meccanismo che lo fa girare essendo oliato meglio d’una commedia di Feydeau: ma proprio perché di supremo meccanismo si tratta (e anche a tralasciare la non indifferente differenza in fatto di contenuti che separa un Feydeau da un Mozart), i quiz hanno un effetto straniante di consistente impaccio. Vero che, nel presente caso, di quiz a facile soluzione si tratta: ma proprio per questo la loro funzione metaforica è alquanto dubbia per non dir proprio infantile. E risulta sgradevole.
Funziona abbastanza la prima scena: una stanza vuota chiusa sul fondo da un’enorme parete inclinata fatta di riquadri di vetro, dove stanno ammassate una gran quantità di scatole di varie dimensioni, che svolgono la funzione di nascondere sia Cherubino che il Conte, tradizionalmente appannaggio d’una poltrona o d’un letto. Fa tanto farsa andante, il Cherubino che scappa nascosto dentro una scatola, ma insomma un effetto lo produce. Un po’ più confusa la stanza da letto della Contessa, dove il letto non c’è e neppure una finestra, ma solo due grandi pouff e una specie di palcoscenico chiuso da cortine di veli bianchi: sicché Cherubino, per saltar giù, se ne esce dal fondo, con effetto abbastanza bislacco nella sua assenza completa d’effetto. Il terzo invece non è male: quella specie di palcoscenico dell’atto precedente è un palcoscenico reale, giacché il Conte è “The magic Count”, un prestigiatore un po’ da strapazzo, che si diverte a far trucchi da due soldi. L’ultima scena è invece scema: palcoscenico vuoto, con al centro un cerchio fatto da cavallini da giostra, dove tutti salgono o si nascondono. Che metafora è? gioco da bambini? non si cresce mai? tourbillon sessuale ma al fondo innocente? Il fatto è che c’è differenza tra metafora (magari intellettuale, magari  un po’ elaborata  ma comunque espressione d’un pensiero: alla Guth, per intenderci) e quiz, che è appunto il classico giochino pseudointellettuale impiegato come specchietto per le allodole onde ammiccare al pubblico con l’intento di proporgli un quesito facile facile che lo faccia sembrare tanto intelligente.
A Bechtolf va abbastanza bene, giacché il cast – tratto d’altronde distintivo del teatro zurighese sotto la gestione di Pereira; si spera continui con Homoki – è composto quasi tutto da artisti che sanno stare in scena e sono per giunta provvisti di carisma sufficiente a calamitare su di sé l’intero gioco scenico: ma contro la scemenza dei cavallini non può niente neppure uno Schrott. Che è un Figaro come sempre travolgente. Appunto: troppo travolgente. È in casi come questo, che emerge nettissima la differenza offerta dalla presenza d’un regista. McVicar, a Londra, non solo ne conteneva l’esuberanza ma l’incanalava facendone tratto distintivo del personaggio perché l’arricchiva d’un sacco di cose: che qui non ci sono, e il carisma tracima nel protagonismo. Circa il canto, poi, qualche forzatura e apertura di suono infastidisce, ma non quanto il continuo bordeggiare alle soglie del parlato, che inficia quasi tutti i recitativi. Michael Volle è in compenso uno dei migliori Conti degli ultimi vent’anni: attore gigantesco, cantante solido, stile e gusto perfetti. Martina Jankova, purtroppo, recita molto meglio di quanto canti: piccolina la voce, c’è qualcosa in alto ma niente in basso, dove apre l’emissione producendo un bel po’ d’aria calda, poco suono e niente di quella sensualità di cui Susanna dovrebbe essere invece intrisa. Brava, in compenso, Malin Hartelius: fragilina anche lei, ma la Contessa si gioca molto di più nel registro superiore, dove fa ascoltare suoni perlacei e chiaroscuri di notevole suggestione: fa pena, quand’è costretta ad allargare le gambe e tirar su la gonna per offrire al marito qualcosa di meglio che guardare nel “gabinetto dove qualcosa è caduto”, ma dovendolo fare lo fa con classe. Un po’ troppo goffo e portato sul versante comico Cherubino, bravi tutti i ruoli di fianco, anch’essi indirizzati verso la commedia scacciapensieri con spolverata moderna nel rendere tutti i personaggi affamati di sesso (letteralmente in preda a foia perenne, in particolare, il Conte: così insistita da cadere spesso nel ridicolo). Narrativamente funziona, ma si credeva fosse ormai acquisito agli atti, che le Nozze hanno voragini di sottotesto dietro la sua frenetica superficie di commedia scacciapensieri da consegnare invece al robivecchi: dove si colloca anche la direzione, d’una secchezza, rigidità, pesantezza e assenza totale di colori o chiaroscuri purchessia, quale non si ascoltavano da decenni.

di elvio giudici


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306 Novembre 2024
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