Interpreti M. Caballé, J. Carreras, P. Cappuccilli, M. L. Nave, S. Bruscantini, N. Ghiaurov
Direttore Giuseppe Patané
regia Lamberto Puggelli
Orchestra del Teatro alla Scala
dvd Hardy classic video HCD 4046
La Forza del destino rappresentata alla Scala nel 1978, alla fine della stagione del bicentenario inaugurata dal Don Carlo diretto da Abbado, si collocò fin dall’inizio al medesimo livello d’eccellenza dei grandi spettacoli scaligeri che avevano rivoluzionato l’interpretazione verdiana. È ancora oggi il più bel live della Forza. Deve la sua fama ad un cast stellare (Caballé, Carreras, Cappuccini, Ghiaurov, Bruscantini), in cui tutti i cantanti giungevano al fatidico appuntamento, nel sempre temuto tempio della lirica (dove la difficile opera si dava allora con regolarità), al massimo della forma, guidati da un concertatore di fantasia e sensibilità rare come Patané, con la regia equilibrata di Puggelli, cadenzata dalle scene dipinte di Guttuso. Più che la regia (che oggi ovviamente sconta i suoi anni), a restare intatta nella memoria è la freschezza di un’esecuzione al calor bianco, il cui primo merito va alla concertazione scorrevole e trasparente di Patané, capace di far suonare morbida l’orchestra e di sostenere senza alcuna pesantezza il canto vibrante di interpreti in stato di grazia, con in testa una Caballé eccezionale, capace di combinare l’inarrivabile modello vocale angelicato della Tebaldi con una paletta di colori ben più ampia. Ma anche gli altri non sono da meno: la spavalderia e la giovinezza di Carreras, la potenza di Cappuccilli, la tenera cavata di Ghiaurov, e infine l’asso nella manica: il sensazionale Melitone di Bruscantini (rimasto ineguagliato). Quali pietre di paragone offriva allora il mercato discografico? Al vertice della classifica si trovavano il disco Decca, diretto professionalmente da Molinari Pradelli, con tutti i gioielli della corona (Tebaldi, Del Monaco, Bastianini, Simionato, Siepi); in casa Emi, all’alternativa Callas si era appena aggiunto il disco diretto da Gardelli con Bergonzi, cui va il titolo di Alvaro più completo di tutta la discografia (v. ora anche il live dir. Solti) e l’Arroyo, di strumentale rifinitura; Cappuccilli e Raimondi; mentre la Rca offriva la magnifica Forza di Schippers. A gran distanza si poneva ormai la vecchia incisione Rai diretta da Marinuzzi, un tempo mitica ma oggi da ridimensionare, a solo vantaggio della prestazione dei protagonisti maschili, un bel terzetto di voci gagliarde, robuste, squillanti, e di duttile fraseggio (Masini, Tagliabue, Pasero). Classico il disco Decca, che ha tanti meriti (ma anche tanti difetti nel canto spesso troppo altisonante delle voci maschili) e il cui valore non si incentra nella sola Tebaldi. Preferisco però ascoltare la sublime Renata (che è stata la Leonora per antonomasia degli anni ’50 e ‘60) nei live che la ritraggono in altre occasioni: ad esempio, nel fiammeggiante debutto fiorentino, sostenuta dalla vibrante bacchetta di Mitropoulos. La Tebaldi incarna alla perfezione il modello di una Leonora soave e angelicata, con tutto l’apparato tecnico che consentiva questa raffigurazione (legato da manuale, smorzati, piani). I limiti sono noti: l’interprete si ritrae nell’accento, scontando più di una traccia di enfasi e di rigore matronale. Proprio il contrario della grande rivale, cioè la Callas, che Leonora la frequentò pochissimo, lasciando tuttavia una enorme impronta. Per capire cosa significhi accentare, e quindi rendere geniale un’intera interpretazione, basta ascoltare il disco Emi, che proprio per la presenza della Callas è di una modernità sconcertante. Una sola frase per tutte: “profondo il mio soffrir”. L’altra grande è Leontyne Price, che domina le scene dagli anni ‘60. Impossibile non tener conto della suggestione del timbro, che è di una carnalità sensuale unica; della voce, che è un torrente in piena, controllato in ogni gradazione; degli acuti eccezionali, che sono come lame radiose. Irrompe sulla scena l’erotismo, misto ad un orgoglioso sprezzo aristocratico. La troviamo al meglio nell’incisione Schippers (che ci dà un rutilante affresco sonoro), con colleghi di grosso valore (sensazionale la Verrett, alla quale personalmente assegno la palma di migliore Preziosilla del disco; ottimo Tucker, già partner della Callas; bravissimo Tozzi). La più bella edizione discografica della Forza nasce però nel 1985, di nuovo alla Scala. Disco importante, quello di Riccardo Muti, che precede di poco il suo insediamento alla direzione musicale del teatro, e che realizza una svolta radicale. Mai la Forza era stata diretta con tanta bruciante urgenza, tanta accensione teatrale, coniugate al rispetto dei segni espressivi. Il cast ha la sua punta di diamante nel canto di Mirella Freni, che si appoggia ad un’organizzazione vocale praticamente intatta che le consente di plasmare una Leonora di travolgente intensità. Bene anche Domingo, Zancanaro, Plishka; eccezionali i complessi scaligeri. Non altrettanto riuscita è la coeva registrazione di Sinopoli, direttore senz’altro stimolante per le sue idee, che però nella Forza sceglie una strana strada, che rallenta eccessivamente il dramma e poco o nulla suggerisce ai cantanti: bella la voce, ma inerte nell’accento, intubata, fissa o stridula in alto, della Plowright. Né il resto del cast, pur interessante (Carreras, anche se apre parecchio; Bruson, Baltsa; velo pietoso per Burchuladze), fa alzare il livello. L’edizione Gergiev del 1995 permette, anche se non era la prima volta in assoluto, di fare la conoscenza con la versione pietroburghese dell’opera, che il direttore imposta in chiave di ripiegamento squisitamente lirico. Metà cast, tuttavia, delude: sicché l’opera è tutta sulle spalle della Gorchakova.
di Giovanni Chiodi