Turnage – Anna Nicole

Turnage - Anna Nicole

interpreti E.-M. Westbroek, G. Finley, S. Bickley, A. Oke
direttore Antonio Pappano
orchestra Covent Garden
regia Richard Jones
regia video Francesca Kemp
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Opus Arte 1054

Il discorso sarebbe del massimo interesse, ma qui prenderebbe troppo spazio: però va sottolineata la differenza in atto tra l’Italia, dove l’opera contemporanea continua ad essere faccenda di nicchia come fossimo ancora ai tempi di Darmstadt, e l’area anglosassone dove si sfornano spettacoli capaci di calamitare pubblico sempre più numeroso, interessato e spessissimo plaudente. Perché musica più facile? Forse. Ma siamo poi sicuri che musica per iniziati significhi automaticamente qualità più elevata? E se anche: nel teatro di prosa, non è che una stagione debba per forza vivere di classici alternati solo a Müller o Beckett, c’è posto pure per testi la cui abbordabilità senza profondi studi preparatori o conoscenze specialistiche non esclude la capacità di parlare di cose serie e soprattutto di oggi per un pubblico di oggi. Anche in questo, non vedo dove stia la differenza tra opera e prosa. Se poi dureranno, questi lavori “facili”, e diverranno a loro volta classici ovvero testi capaci di contenuti tali da dire qualcosa anche quando il tempo avrà mutato gusti, sensibilità e assonanze, si vedrà. Ma comunque, l’importante è – facendoli oggi – di farli al meglio: come nel presente caso.
Dunque, Turnage scrive un’opera basata su una di quelle vite fuori-misura (in tutti i sensi) che in ogni epoca hanno funto da prepotente calamita per il teatro perché capaci di riassumere tratti significativi della loro epoca. In questo caso, Anna Nicole Smith, cameriera texana con figlio e marito a carico, divenuta spogliarellista dopo essersi dotata di super-tette grazie alla chirurgia; così super che il peso le provoca continui mal di schiena da neutralizzare con antidolorifici, ma che le valgono il celebre paginone di Playboy, dove le nota l’ultraottantenne miliardario Howard Marshall, che ne sposa la proprietaria lasciandola vedova ed erede dopo pochi mesi: sola e perennemente in overdose dei riflettori massmediatici e di altre droghe assortite (partorì in diretta televisiva); il primo figlio – anch’egli drogato – le muore accanto nel suo letto; e infine finisce in una camera di motel schiantata dal consueto mix alcool-pillole.
Richard Thomas scrive un libretto fantastico: lingua da tabloid e reality televisivi contemporanei, taglio narrativo a flash, rapido e con massima evidenza conferita a ogni situazione. La musica contrappone ma più spesso shakerizza sincopi jazzistiche, pop (batteria e chitarra elettrica, quelle dei favolosi Peter Erskine e John Parricelli, cui s’unisce in trio John Paul Jones, ex bassista dei disciolti Led Zeppelin), country, melodismo postmoderno dove s’impastano minimalismo alla Adams, ventate ritmiche alla Bernstein, slarghi sinfonici il cui essere in formato mini non preclude l’intridersi di pregnante lirismo, apice la scarna tragicità con cui Anna stessa ricapitola la sua vita: “made some bad choices, made some worse choices, then ran out of choices”. Musica fantastica? Credo di no, però di sicuro è una cosa: è grande musica di teatro, così come grandissimo teatro è quanto si vede in questo dvd. Pappano dirige da quel grande affabulatore musicale che sempre riesce ad essere. Jones è uno dei più grandi registi dell’universo mondo (quello dal quale l’Italia s’è autoesclusa inneggiando all’autarchia in nome d’una superiorità nelle cose operistiche che – se mai ha avuto una ragione – è ormai retaggio di epoche arcaiche), e lo dimostra confezionando uno spettacolo dove una vicenda drammaticamente reale viene svolta secondo i canoni non del realismo spicciolo bensì d’un iper-realismo la cui delirante esplosione di sberluccicante volgarità super-trash assume agghiaccianti ma anche poeticissimi lividori tragici: apici essendone le ricorrenti deformazioni della Fanfare for the common man di Copland, a segnalare come il sogno americano analogamente si deformi in incubo che ci coinvolge tutti. Quasi pleonastico sottolineare come il cast reciti da padreterno (siamo a Londra, patria del miglior teatro del mondo) anche a prescindere dalla geniale regia, e come canti alla perfezione (ogni parte sovrintesa direttamente dall’autore): ma almeno elevare un inno a quella grandiosa artista che una volta di più si conferma Eva-Maria Westbroek, questo è un obbligo e un immenso piacere.

di elvio giudici


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306 Novembre 2024
Classic Voice