interpreti A. Boe, M. Moore, R. Wood, H. Alattar The English National Opera Orchestra and Chorus Regia Jonathan Miller Direttore Miguel Harth-Bedoya 1 dvd Nvc Arts50-51865-9489-2-6
La Bohème ebbe la sua prima mondiale nel 1896 al Teatro Regio di Torino. Dirigeva Arturo Toscanini, che nel cinquantenario dell’opera, 1946, ritornò sul podio per dirigerla. Esecuzione travolgente. Anche perché è un esempio di controllo totale e di maniacale regia, orchestrale e vocale, che ha ancor oggi dello stupefacente. Toscanini legge il capolavoro pucciniano alla Courbet: realismo duro e sferzante, ritmo vorticoso. Mancano gli indugi, i colori, le malinconie di altre versioni. Conta soprattutto il passo rapinoso, il vivere la vita a perdifiato, l’evidenza fisica, palpitante e bruciante della passione o del dolore. C’è il fuoco: dell’amore che si accende, della folla che si scalda, della gelosia che monta. C’è il gelo dei sentimenti. Non c’è un momento di stasi o in cui l’orchestra non partecipi e non vibri all’uniscono con i cantanti. E Toscanini non solo sprona, incita e governa, ma “canta” insieme ai suoi solisti, compatti come una falange, modellati da un gusto severo che bandisce ogni macchietta..
È tutt’altro discorso con due Bohème importanti di dieci anni dopo, 1956. A Londra incide Beecham, maestro venerato, con la De Los Angeles e Björling. Il paragone con Toscanini lo poteva sostenere solo De Sabata. A Beecham, nonostante i meriti, mancava il genio del grande concertatore. E i due protagonisti, timbri di madreperla, sono due modelli di stilizzazione elegante. Alla Scala la Callas registra un ruolo mai portato in scena. Dirige Votto: aurea routine. Di Stefano canta un po’ a squarciagola. Ma sono ancora gli anni d’oro. La Callas, in materia di accento, è grandissima e fa scoprire cose inedite. La Tebaldi, già Mimì di riferimento in teatro, ha un’altra concezione. La voce è dolcissima e tantissima, ed è modulata alla perfezione. Dei due dischi, il primo la trova più prodiga di sfumature, ma nel secondo duetta con Bergonzi, che è un Rodolfo di una poesia infinita, con uno sguardo attento al modello di Gigli. La grande Renata non si scosta troppo dallo stereotipo oleografico, rimesso a nuovo, da un canto è soave ed estatico. Ma una frase della Callas mette i brividi e una battuta cantata dalla Freni ti mette davanti alla verità. Mirella Freni, appunto, e il suo celebre incontro al vertice con Karajan alla Scala nel 1963. È il grande lancio della più grande Mimì del dopoguerra. Ma è anche la Bohème di Karajan e di Zeffirelli, e in seguito di Pavarotti, il naturale interlocutore di Mirella. La luce della spontaneità, dell’umanità e della pienezza del canto. Il gusto sopraffino delle mezzevoci e dei chiaroscuri al servizio di un personaggio vero, fresco, umano: semplice. La capacità di cantare piano e sfumato, senza gonfiare le gote. Chi asseconda meglio questo progetto è Karajan, con il suo caleidoscopio liquido di suoni e di dinamica variegata. Un turbinio che, rispetto al monolitico Toscanini, si ferma a riflettere sui destini dei due giovani, e li avvolge in una carezza affettuosa e dolcissima. Nell’edizione del 1973, con i Berliner, compare uno strepitoso Pavarotti, e una languidissima Harwood, come Musetta. Tra le tante altre tappe della coppia d’oro, non è da dimenticare anche il live romano con Schippers (dove spicca anche il Marcello arguto di Bruscantini) e l’esaltante exploit scaligero di Kleiber. La Boheme più struggente, più delicata e più fraseggiata degli ultimi anni è quella di Pappano. Siamo agli antipodi di Toscanini, ma anche del preziosismo di Karajan. Siamo al trionfo del canto di conversazione, della delicatezza, dell’arte di dire le cose alitando sottovoce. Non c’è che non sia preparata meticolosamente prima. Non c’è attacco che non sia dato in maniera morbidissima. Un talento eccezionale di narratore. Puccini rinnovato: attraverso il rispetto maniacale dei segni di espressioni e delle pause. Risultato eccezionale, anche perché portato avanti da un Alagna capace di inaudite finezze (e di una gran varietà di toni, dallo scherzoso al patetico) e da una Vaduva di creativa sensibilità (ma fanno cose memorabili anche Hampson e Keenlyside. Sul versante video, irrinunciabile la Bpheme di Zeffirelli, meglio nella sua versione primitiva, senza le successive aggiunte. Le cose più originali, più avanti, vengono da Baz Luhrmann, ineguagliabile, da McVicar, Jones. Anche con Jonathan Miller, la vecchia cartolina illustrata strappalacrime, per niente morta, del teatro pucciniano, viene stracciata, a favore di una presa diretta della vita, affidata ad una recitazione magistrale (la compagnia dell’English National Opera è un blocco unico) e per nulla propensa a fazzoletti, leziosaggini e finzioni. Lo sfondo sono gli anni Trenta, la casa si vede tutta, scale comprese. I caratteri sono tutti marcati al grigio. Nella gelida soffitta si muore di freddo e si è arrabbiati. L’incontro con Mimì è tutto un rimando di sguardi impacciati e timidi, di risa soffocate. Si muore, anche qui, sulla stessa poltrona del primo giorno d’amore. Una tranche de vie cruda, molto inglese (lingua compresa), vera.
di Giovanni Chiodi