a cura di Rossana Dalmonte
editore Lim
pagine 211
Nell’ultima parte della sua vita, a partire dal 1869, l’esistenza di Liszt divenne “trifurquée”. Divisa cioè tra tre principali luoghi di residenza: Weimar (in primavera/estate), Roma (poi Villa d’Este a Tivoli, in autunno) e Budapest (nel pieno inverno). In tutte e tre queste “piazze” Liszt, spostandosi con lunghi e faticosi viaggi ferroviari in seconda classe, teneva quelle che oggi si chiamano masterclass pianistiche. Allievi di tutte le nazionalità lo seguivano tra un polo e l’altro, oppure sceglievano la loro città di riferimento. A Weimar, dove il granduca Carlo Alessandro, gli aveva messo a disposizione una bella casa all’interno del parco cittadino, a prendere nota delle sue lezioni, c’era anche Lina Ramann, la sua biografa ufficiale. Che “registrò” le indicazioni che Liszt dava ai suoi allievi per interpretare le sue stesse composizioni. E “interpretare” è la parola giusta trattandosi di suggerimenti e indicazioni che avevano a che fare con la “resa” musicale ed espressiva di un pezzo (manca completamente il training tecnico/esecutivo). Ne venne fuori un capitale volumetto, il Liszt Pädagogium. Che ora, complici anche i festeggiamenti per il bicentenario lisztiano, torna in una nuova edizione curata da Rossana Dalmonte, la massima studiosa italiana di Liszt, autrice di una ben informata premessa su Lina Ramann, il rapporto con gli altri “diari” redatti dagli allievi, la “paternità” dello scritto (quanto si deve alla Ramann e quanto a Liszt?). Per ciascuno dei 21 brani scelti, la Ramann fa precedere delle informazioni storico-analitiche relative al Liszt compositore (che giustamente la curatrice integra e “corregge” in nota) alle richieste del Liszt pianista ed esecutore, concentrate sui momenti cruciali del pezzo o sulla sua visione d’insieme, a volte con virgolettati dello stesso Liszt.
Inutile dire che l’interesse per questa pubblicazione non è solo pratico (come testimonia il formato oblungo, da tenere sulla tastiera del pianoforte), ma anche storico e documentario. Più che un trattato di esecuzione pianistica, si rivela come uno spaccato, in presa (quasi) diretta, del mondo lisztiano e delle suo modo “atipico” d’intendere il virtuosismo, improntato a una grande libertà, anche immaginativa. Nell’introduzione la stessa Ramann chiama in causa la premessa all’edizione completa dei poemi sinfonici, dove Liszt mette in guardia dal battere il tempo battuta per battuta, suggerendo di seguire lo sviluppo delle frasi e dei periodi. E fondando così la direzione d’orchestra moderna. Da riscoprire anche l’affermazione di un Liszt “poeta di suoni”, “retore, rapsodo e mimo”, e dunque del suo stile esecutivo “poeticamente libero”, e della funzione narrativa delle “pause vuote”, delle “note con corona”, delle cadenze, simile a quella della punteggiatura. Oltre che l’idiosincrasia per il rispetto letterale dello spartito, che riaffiora come memoria della sua stagione virtuosistico-improvvisativa. Le note storico-critiche alle composizioni preoccupano un po’ la Dalmonte, perché “obsolete”. Ma quanto ci dicono del sapere “diffuso” su quei brani e dei presupposti a partire dai quali lo stesso Liszt componeva?
di andrea estero