pianoforte Davide Cabassi
cd Concerto 206
Quando apparve, a metà degli anni settanta, pubblicato da Ricordi, il Capriccio ou Etude pour le fortepiano di Luigi Cherubini, frutto del ritrovamento da parte di Pietro Spada che ne fece la prima esecuzione alla Chigiana, non poca fu la meraviglia da parte di chi avvertiva, e forse subiva, l’aureola ancora indefinita che avvolgeva la personalità di Cherubini, nonostante la riconosciuta grandezza del compositore sia nel campo teatrale che in quello sacro. La possibilità di ascolto di questo brano offerta ora dal cd realizzato da Davide Cabassi consente di cogliere il senso e la portata di quello stupore: l’ampiezza intanto, 984 battute – ben più della Sonata di Liszt che ne conta 756 – fino a sfiorare i quaranta minuti di musica; e poi la data, certificata dal manoscritto, 1789, davvero sbalorditiva se si considera la portata di quest’opera che, dietro la facciata di “étude”, si apre ad una straordinaria prospettiva, immaginativa e linguistica, dove il materiale primario, scale, arpeggi e quant’altro appartiene alla grammatica pianistica, cresce sotto le dita dell’interprete e si organizza con una tensione che sembra decantare la fisicità insita negli stessi procedimenti per liberare un discorso pervaso di un vitalismo che ti prende all’ascolto per la continua varietà di risvolti e di richiami. Uno sguardo all’antico, al contrappunto in specie, come del resto in Beethoven, sospinto in avanti dalla ardimentosità del gioco modulante, ma pure al gusto disincantato del préludier, che lascia intendere, nella stessa plastica articolazione dei recitativi che collegano le più ampie arcate, il grande drammaturgo. Un’avventura non poco avvincente, nella stessa prospettiva formale, un percorso variativo diramato con una libertà che giustamente ha suggerito a Cabassi di accostare questo brano monstre alle due Sonate beethoveniane del’op. 27 intese dal musicista come svolta innovativa, nel segno di “quasi una fantasia”. Accostamento che Cabassi, uno dei nostri interpreti più apprezzabili per l’aderenza di un pianismo sensibile ad un pensiero musicale, rende oltremodo eloquente nel dar un senso espressivo ad una scrittura come quella di Cherubini che, benché il compositore fiorentino abbia dedicato poco o nulla alla tastiera, si intreccia per più di un tratto (ma siamo nel 1789!) con quella di Beethoven: il quale non a caso aveva per lui una profonda ammirazione.
Gian Paolo Minardi