Stravinskij – The rake’s progress

Stravinskij - The rake-s progress

interpreti T. Lehtipuu, M. Persson, M. Rose, E. Manistina, S. Gorton, G. Clarke
direttore Vladimir Jurowski
orchestra London Philharmonic
regia John Cox
regia video François Roussillon
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Opus Arte 1062

Spettacolo nato nel 1975. Filmato dalla Southern Television nel corso della ripresa del 1985 (direttore Haitink; cast Leo Goeke, Felicity Lott, Samuel Ramey) con mezzi proverbialmente spartani e comunque molto male. Riallestito nel 2010 e ripreso stavolta da uno dei registi televisivi migliori del momento. Circa la sua sostanza teatrale, diciamo che regge ancora: frase d’uso davanti a spettacolo vecchiotto che ha però assunto lo status di classico grazie soprattutto alle magnifiche scene di David Hockney che per la prima di non molte altre volte s’accostava al palcoscenico. Scenografia, però, che anche nel caso d’un Hockney non rima con regia: e che difatti cannibalizza l’intero spettacolo, costantemente “in posa”, per così dire, nell’evidente intento di rapportarsi sempre all’eleganza asettica e molto intellettuale dei disegni.
Vero che Stravinskij impieghi le forme musicali del passato scarnificandole così da farne semplici e perciò duttilissimi strumenti coi quali mostrare come le illusioni sentimentali siano solo utopia (ma anche, mozartianamente, come proprio per questo non se ne possa fare a meno): sicché l’ironica eleganza di tratto di Hockney da questo lato funziona. Ma vero anche che tale struttura neoclassica s’imbeva di quell’amarezza squisitamente contemporanea (d’altronde uno dei più tenaci fili rossi della poetica stravinskiana) portata qui molto prossima a una stravolta disperazione che, al di là delle differenze di linguaggio con cui viene espressa, dista ben poco da quella dei monodrammi di Schönberg. Di recente, a me pare che gli spettacoli di Bieito e di Lepage l’abbiano evidenziato molto meglio di quanto faccia vedere questa gradevole esibizione vintage che si regge ancora solo in virtù del proverbiale livello cui su qualunque palcoscenico inglese s’attesta la recitazione singola e di gruppo.
Punta di diamante di questo video è dunque soprattutto la direzione. Che arriva molto prossima al livello raggiunto da Gardiner nella sua incisione solo audio (d’intere spanne la migliore del catalogo) nell’accentuare la nitidezza strutturale in un geometrico bianco e nero reso tuttavia luminosissimo, l’angolarità secca dei profili ritmici, il bagno in varechina delle aperture liriche: per generare una progressiva distanziazione sentimentale, un senso crescente di acidità esistenziale che non esclude la commozione, e anzi la rende una conquista razionale. Nel cast, domina l’Anne di Miah Persson: canta benissimo, è bellissima, sempre espressiva con la voce e col gesto. Topi Lehtipuu ha timbro come sempre sgradevole nella sua bianchiccia gessosità e nella sua linea vocale che salendo s’impicca: accenta piuttosto bene, ma la povertà della regia limita non poco un personaggio che resta quindi appena sbozzato. Troppo acuta la tessitura di Nick per la voce grossa e spessa, ma corta tanto su quanto giù, di Matthew Rose che per giunta ha troppo poco carisma per simile personaggio. E a proposito di carisma: basta sentire le poche battute del banditore Sellem, affidate a quel sommo artista di carattere che è il glorioso Graham Clarke (un Mime mai più dimenticato), per spiazzare tutti gli altri.

elvio giudici


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311 Aprile 2025
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