Rossini – Il barbiere di Siviglia

Rossini - Il barbiere di Siviglia

interpreti L. Salsi, K. Kemoklidze, D. Korchak, B. Praticò, G. Furlanetto
direttore Andrea Battistoni
orchestra teatro Regio di Parma
regia Stefano Vizioli
regia video Daniela Vismara
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp., Cor.
dvd Arthaus 101623

Il cast non sarebbe male: ma come spesso accade, è il contesto generale che ne mortifica doti altrimenti suscettibili di ben altri risultati. Salsi ha un fior di voce, ma la smania di buttarsi su tutto e di più lo sta affaticando: da cui linea sempre robusta ma in perenne smania d’una ostentazione che pialla dinamica, colori, accenti, in un non-fraseggio ridotto a riempitivo tra un acuto e l’altro. Però la voce c’è, tutti contenti. Korchak non è mai stato un fulmine di guerra nel canto di coloratura, ma ciononostante continua imperterrito a cantare Rossini: e almeno c’infilasse quegli accenti e quelle sfumature di cui fa mostra le rare volte che canta Donizetti, ma certo siamo a Parma e quindi va bene così. Lo sa bene Praticò, che fa un’ancora inedita imitazione di Aldo Fabrizi quando, al termine del sillabato e dovendo riattaccare “A un dottor”, si produce in un sonoro sbuffare di labbra completo di “oooooHHH” da festival della porchetta a Scurcola Marsicana: e “se ne cade ‘o teatro”, come direbbe Eduardo. Se Giovanni Furlanetto “fa” il solito Basilio artefatto, fischiante, gutturale, inascoltabile, non male si rivela invece essere Ketevan Kemoklidze, quantunque pure lei non a casa sua in Rossini: bella voce, però, emessa con  criterio, prudente nelle agilità ma niente di scandaloso, un’idea (del tutto autonoma) di fraseggio e persino d’uno stare in scena vagamente moderno.
Stefano Vizioli forma con Renato Cappuccio (entrambi carissimi a Riccardo Muti; et pour cause) una sorta di coppia alla Gatto e Volpe di collodiana memoria: artefici – indistinguibili l’uno dall’altro, vedi infatti il recente Barbiere romano – di quegli spettacoli radical-kitsch che con le loro caccole finto-chic strizzano perennemente l’occhio fingendo un teatro tanto intelligente e tutto sottintesi. Laddove, molto semplicemente, di teatro non c’è neppure l’ombra: e piuttosto che queste scemate (tra l’altro ormai viste, straviste e decotte) allora è meglio la vetusta caccolona che senza infingimenti esibisce sfrontatamente se stessa, tipo Barbiere veneziano del Bepi Morassi. 
Andrea Battistoni ha venticinque anni all’anagrafe civile, ma a quella musicale è più vecchio di Matusalemme: un Rossini ante tutto, pestato nelle sonorità, livellato nella dinamica, monocromo, morchioso in una concertazione dove ogni idea di trasparenza e articolazione interna è oggetto misteriosissimo, e dove l’orchestra non si copre affatto di gloria, facendo una volta di più acutamente rimpiangere i bei tempi (brevi, soprattutto) in cui direttore musicale ne era il glorioso Bruno Bartoletti. Se son rose fioriranno, dicevano le nostre sagge nonne a proposito dei giovani di belle speranze lanciati in cimenti più grandi di loro. A me, stavolta è venuta in mente la grande Franca Valeri, col suo ironico “maccccome sono stente, le rose, quest’anno!”.

 elvio giudici


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306 Novembre 2024
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