interpreti S. Neill, A. Masetri, S. Branchinidirettore Pinchas Steinbergregia Pippo Delbonoteatro San Carlo
NAPOLI – Il regista entra in scena. Ne diventa, con la sua voce e corpo d’attore, parte integrante. Prima leggendo un monologo disturbante e impudico: una Pasqua in Sicilia, l’ultimo incontro con la madre scomparsa mentre pensava a questo spettacolo. Poi rimanendo tra platea e palcoscenico con lo stesso frac a sorvegliare la recita: aggirandosi tra i personaggi e il pubblico per favorire e commentare l’azione, spalancando le porte ricavate nelle alte pareti rosse di una casa nobile e abbandonata con disperate corse da una parte all’altra, per fare entrare la luce, la vita.
È uno spettacolo dal forte segno autobiografico quello montato da Pippo Delbono per il suo debutto all’opera. Irregolare rispetto al canone registico di oggi, tutto propenso a una resa oggettiva della drammaturgia, da intendersi come fatto in sé concluso, non importa se alla Zeffirelli o alla Guth.
Questa Cavalleria, come tanto teatro sperimentale, si apre alle ferite ipersoggettive: e il fatto risulta ancora più significativo per un testo che nasce come “tranche de vie” ma che una musica tutta da rivalutare nelle sue sbrigative intuizioni del moderno spinge fuori dalla bella scrittura operistica. Così i personaggi appaiono, si squadrano e confrontano guardati a vista negli spazi vuoti e bellissimi di Sergio Tramonti. Estranei a ogni contesto, come fantasmi di fatti scolpiti nella memoria, ricorrenti. Eterni.
In questa visione si perde qualcosa della fulminante teatralità d’autore, è vero. E questo vale anche per la direzione di Pinchas Steinberg, impostata fin dall’inizio su tempi lenti e andamenti rituali. Solo che alla cornice ieratica, non corrisponde un quadro di rapporti musicali davvero trasfigurato: tra affondi melodici a una dimensione, strategici rallentandi e ridondanti appelli orchestrali, tornano in buca gli antichi ferri del mestiere “verista”. Resuscitati da materiali vocali più o meno imponenti ed educati ma grezzi, in perenne competizione canora: Stuart Neill, Ambrogio Maestri, Susanna Branchini e Giuseppina Piunti. Con l’intenso contributo anche attoriale di Elena Zilio/Mamma Lucia, che il regista prende per mano quando “hanno ammazzato compare Turiddu” e Santuzza scaraventa rabbiosamente le sedie rimaste vuote. È lei la madre ritrovata.
Andrea Estero
(la versione completa di questa recensione compare sul numero 160 di "Classic Voice", settembre 2012)