editore Lim
pagine 744
Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert. Ancora? Sì e no, perché quella offerta da Carlo Piccardi è una prospettiva nuova. Necessaria. Figlia della constatazione che “non c’è tempo senza spazio”, che la storia non può prescindere dalla geografia. Prendiamo Vienna. Non è un luogo generico, eppure prende e dà tanto alle altre capitali, divenendo nella musica una città-impero molto più esteso di quello governato politicamente. Stupisce questa tesi, enunciata fin dall’introduzione: il “classicismo viennese” non è l’isola linguistica, sofisticata e arroccata, di un continente che parla la lingua delle arie d’opera e dei potpourri; ma il centro da cui si irradia in tutta Europa una prassi contagiosa: quella, appunto di Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert. Carlo Piccardi è bravissimo nel riannodare le ragioni musicali con quelle cultural-locali nei quattro autori-principe. Ma anche a tratteggiare nei capitoli iniziale e finale le traiettorie invisibili del percorso che porta il classicismo aristocratico a diventare repubblicano e borghese. Prima di aprirsi a quel “diverso” (dalle turcherie alla musica “leggera”) da cui si dirameranno altre storie e geografie.
Andrea Estero