Catan – Il Postino

interpreti P. Domingo, C. Castronovo, C. Gallardo-Domas, A. Squitieri, V. Chernov
direttore Grant Gershon
orchestra opera di Los Angeles
regia Ron Daniels
regia video Brian Large
formato 16:9
sottotitoli Ing.
dvd Sony 88691919709

 

Catan-Il-Postino

Fu uno dei rari momenti in cui s’è indotti a credere nella teoria dell’homo sapiens, quello in cui Pablo Neruda pronunciò il suo discorso dopo aver ritirato il Nobel nel 1971, due anni prima di morire in ospedale, ufficialmente di cancro ma verosimilmente di assassinio. Raccontò una storia. Quella d’un ragazzo cileno del sud, che scopre la cultura, legge e comincia a scrivere versi, diventando un’altra persona financo nel nome, a segnalare un mutamento di se stesso riflesso nella coscienza d’essere parte d’una collettività, quindi di possedere coscienza civile ovvero politica; il poeta cittadino lavora attivamente per il proprio paese come attaché culturale in Asia, Spagna e Sud America parallelamente all’evolversi dei suoi versi da un’impronta surrealista a un’esuberanza immaginifica nella quale il rigoglio delle metafore zampilla senza mai perdere una limpidezza che la fa sembrare sorgiva. Il racconto, semplice e avvincente nel tratteggiare nascita e ragioni d’una delle icone più solide di quegli anni (e destinata non già a svanire, ma anzi a rafforzarsi sempre più, fuori e figuriamoci dentro un Cile retto da Pinochet), terminava citando Rimbaud: “A l’aurore, armés d’une ardente patience, nous entrerons aux splendides Villes”.
Il romanziere Antonio Skarmeta isola appunto l’immagine rimbaudiana-nerudiana Ardente paciencia facendone il titolo d’una novella d’amore, di politica e di coscienza civile: figura centrale è Neruda stesso, che vive in isolamento in un remoto angolo cileno – l’Isola Negra – dove viene a contatto con Mario Jiménez, un diciassettenne postino assunto per via dell’enorme carico di posta generatosi all’arrivo del poeta. Ogni giorno il ragazzo giunge carico di posta: e ogni giorno, intrattiene colloqui via via più articolati con Neruda. La scontrosa introversione di Mario si scioglie man mano viene accolto nel mondo interiore del poeta, mutando il proprio a contatto con quelle fascinose ricchezze. Un primo effetto è che i suoi turbamenti amorosi trovano la via per manifestarsi attraverso la poesia: dapprima ingenuamente ricalcata su quella di Neruda, poi però modificata da intuizioni e impulsi personali, infine elaborata in proprio, a segnalare una maturazione interiore generatrice di coscienza umana e politica tracciata di pari passo a considerazioni vivide, acute – ma sempre improntate a una leggerezza di tocco che diresti quasi calviniana – in merito alla storia e alla società cilena.
Dalla novella, Skarmeta trasse in seguito una commedia – da noi la mise in scena Luigi Pistilli – e sostanzialmente da questa, nel 1994, ne fu ricavato il film di Michael Radford Il Postino (assai riuscite le sue musiche, scritte da Luis Bacalov meritatamente premiato con l’Oscar): dove il Cile diventa l’isola italiana di Cala di Sotto; Neruda resta Neruda ma il suo interlocutore è Mario Ruoppolo, ultimo personaggio incarnato da Massimo Troisi accanto a un sublime Philippe Noiret. Ed è dal film – abbastanza diverso negli intenti e quindi anche nella “tinta” generale, dalla novella – che Daniel Catan ha tratto lo scheletro della sua opera: titolo italiano, ma testo spagnolo, nel quale taluni inserti poetici di Neruda possono conservare intatta la propria statura.
La musica di Catan, nell’evidente intento di “italianità” richiesto dall’ambientazione e dai personaggi nativi da contrapporre alla coppia formata da Neruda e sua moglie Matilde, dimenticati i suoi inizi tardoromantici alla Zemlinski o Korngold, ha sviluppato evidenti legami con quella di Verdi (molto meno con Puccini, a mio parere, nonostante quanto s’è scritto), con sostanziosi richiami a certi trattamenti ritmici riferibili a Copland e, in taluni incisi corali, allo Stravinskij di Noces e Sinfonia dei salmi, impastati con abilità agli influssi folcloristici sudamericani e caraibici che formano tratto costante della sua musica (le marimbe e le arpe di Florencia en el Amazonas che inseguono efficacemente il realismo magico d’una storia tratta da Gabriel Garcia Marquez; le cadenze afrocaraibiche di Salsipuedes): musica gradevole, quasi mai banale, con una scrittura particolarmente ben riuscita per ciò che attiene alle voci.
Tagliata su misura per Domingo – né troppo alta né troppo bassa – la tessitura di Neruda gli s’attaglia alla perfezione: l’evidente piacere di cantare nella propria lingua conferisce al fraseggio un surplus di finezza nel chiaroscurare un personaggio che comunque è perfetto per lui. Tratto drammaturgico vincente del musicista Catan rispetto al librettista Catan è il suo recuperare in molti momenti il ben percepibile profumo erotico che circola nella novella di Skarmeta. L’ardente dichiarazione d’amore che Neruda rivolge alla moglie, ad esempio, traduce in musica il sonetto Nuda (“Nuda, tu sei semplice e vera come lo sono le tue mani” – la scena lo traduce in un momento di pura sensualità, resa credibilissima dalla bellezza latina di Cristina Gallardo-Domas che pian piano emerge dalla veste amorosamente toltale dal marito): e Domingo ne fa un capolavoro entro il complessivo capolavoro creato con questo personaggio, che solo il cielo sa perché non abbia mantenuto in repertorio più continuativamente, preferendogli l’attuale – e ben poco proficua – cavalcata tra i baritoni verdiani.
Se Domingo riesce a non far rimpiangere più di tanto Philippe Noiret e il suo inimitabile gioco di sguardi, Charles Castronovo ha l’intelligenza di costruire il proprio personaggio senza minimamente imitare la disarmante scontrosità dell’ancor più inimitabile Troisi: molto più irruente, realistico, ingenuamente gaglioffo, il suo Mario finisce col risultare anche più “giusto” perché più elaborata ne è la maturazione interiore rispetto a quella tracciata da Troisi, che un po’ poeta (un po’ tanto, anzi) lo è fin dall’inizio quantunque ancora ignaro di esserlo. Nel finale, Neruda è finalmente tornato nell’isola scoprendo che Mario è morto nel corso d’una dimostrazione – e che quindi aveva raggiunto una coscienza politica non meno che una statura poetica autonoma e originale – ma ha lasciato alla moglie una lettera destinata a lui: la legge, e la voce di Mario gli risuona accanto, in un duetto che è forse il momento migliore dell’opera, reso un vero momento di poesia da due artisti in stato di grazia.
Assai ben diretto da Grant Gershon alla testa di un’orchestra all’altezza della fama meritatasi da una delle cinque maggiori compagini degli Stati Uniti, eccellente è tutto il cast di contorno, in cui si rivedono e si risentono due artisti recentemente persi di vista come la Gallardo-Domas, che è una sensuale, rilassata Matilde Neruda, e Vladimir Chernov, il quale impersona con grande efficacia Giorgio, il capufficio postale. Accanto a loro, si ritagliano posto di riguardo la fresca vocalità di Amanda Squitieri nei panni di Beatrice e la gustosa caratterizzazione che Nancy Fabiola Herrera fa di sua madre. Lo spettacolo è molto lineare, semplice e con qualche tocco di eccessiva carineria. Dovuto probabilmente alla particolare insistenza con cui il libretto magnifica l’azzurro cielo italiano, tutta la scena è immersa in una costante azzurrina che rischia abbastanza spesso di degenerare nello spot da cioccolatini, coi consueti aranci che tracimano un po’ ovunque e con un eccesso di superfici levigate. Rimedia la recitazione disinvolta ed efficace, alcune proiezioni particolarmente riuscite (bella l’idea, nella scena subito seguente a quella dello “spogliarello” cui Mario ha assistito con quel pizzico di arrogante incredulità tipica del giovane nei confronti d’una passione sessuale ancora esistente in una coppia d’età avanzata, di proiettare un testo di Neruda vergato nella sua scrittura mentre il saggio poeta impartisce al ragazzo una lezione sul valore della metafora quale spia d’una rigogliosa vita interiore), ma soprattutto il carisma di Domingo, dirompente però mai prevaricante nei confronti della personalità acerba eppure via via più forte di Castronovo: col che, grazie anche alle riprese di Brian Large come sempre magnifico nel dipanare con limpida chiarezza la vicenda legando con sapienza tra loro le autonome vignette di cui si compone, viene centrato con teatrale immediatezza lo snodo centrale della vicenda.

Elvio Giudici

 

 


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306 Novembre 2024
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