pianoforte Rafal Blechacz cd Deutsche Grammophon 479 0928 prezzo 18,60
A sette anni dalla vittoria del Concorso di Varsavia, una storia dalla quale solo alcuni vincitori, come Pollini, la Argerich, Zimerman sono rimasti come stelle risplendenti, molti altri fatalmente risucchiati nell’ombra, possiamo ritenere che Rafal Blechacz appartenga pienamente a questa ristrettissima rosa, convinzione che è andata consolidandosi attraverso le precedenti registrazioni (subito la Deutsche Grammophon si è assicurata l’esclusiva dell’allora ventunenne pianista) e che questo disco conferma pienamente. Ciò che ha colpito di Blechacz fin dalle sue prime apparizioni è quel senso di equilibrio che lo ha guidato del resto nelle scelte dei programmi, mai spinti all’eccesso, e riconoscibile nella particolare aderenza alla poetica di Chopin: lo avevamo apprezzato nella registrazione dei due Concerti, con la direzione di Semkow, nella sognante madreperla timbrica dei due movimenti centrali non meno che nel gioco liberatorio dei finali dove l’interprete pareva far rivivere insieme alla pregnanza nativa degli umori popolareschi tutta la fragranza e la “leggerezza” di quel virtuosismo che, per quanto simile a quello di musicisti prediletti da Chopin, Hummel e Kalkbrenner in particolare, è tutt’altra cosa: uno dei tanti enigmi del “mistero” Chopin.
Impressioni che trovano ancor più solida conferma in questo ultimo disco dedicato alle Polacche, nella progressione con cui Blechacz rivisita l’ampio arco entro cui l’antica danza diventa nella visione del musicista evocazione, memoria, per farsi poi racconto epico, eroico, visionario, sempre attraverso la lente di una lingua che sembra fiorita naturalmente dalla tastiera. Il senso, appunto, che sembra guidare Blechacz lungo l’impegnativo viaggio; é raro, infatti, ascoltare uno Chopin così fresco, così scorrevole, così eloquente, emancipato dal rovello tecnico, mai liberato nel compiacimento virtuosistico. Esemplare la Polonaise-Fantaisie, estremo approdo di uno Chopin che apre magicamente impalpabili interrogativi che l’interprete affronta con avvincente sensibilità; Blechacz possiede infatti come pochi quel senso del rubato che è l’anima misteriosa del linguaggio chopiniano e questo gli consente di imprimere al discorso una sua sinuosità, sorprendente ed avventurosa.
Gian Paolo Minardi