a cura di Giulia Perni editore Sillabe pagine 287 euro 25
“Che Mahler abbia confessato per scritto di avere ‘molti punti in comune’ col compositore di Livorno è segno del fatto che, anche per Mascagni, il tempo della giusta rivalutazione presto verrà”. Così Daniel Barenboim dichiara nel volume pubblicato in occasione dei 150 anni della nascita di Pietro Mascagni: affermando una volta di più che l’etichetta di “verista” gli sta stretta. E d’altra parte nella prima sezione, l’autore viene riscoperto proprio nella molteplicità delle sue esperienze operistiche, decisamente irriducibili ad un solo clima espressivo. Lo dice l’ampio saggio di Fulvio Venturi, lo ribadisce quello di Alberto Paloscia, e il filo rosso si può seguire leggendo gli ulteriori spunti sul rapporto coi librettisti, col cinema, coi pittori; o gli approfondimenti sul dannunzianesimo, sul repertorio sacro e su quello da camera. Ma il verismo è una categoria interpretativa, allora? Ne scrivono, nella seconda sezione, cantanti, direttori e registi chiamati a discutere le loro esperienze sul palcoscenico. Mentre nella sezione finale lo negano alcuni dei critici e giornalisti interpellati, testimoni di allestimenti recenti aperti sulla modernità. Troppo pochi ancora, comunque, come esigua è stata l’attività editoriale. Questo volume, prezioso in quanto raro, si distingue anche per l’elegante veste editoriale e la notevole quantità di immagini d’epoca. Nella sezione biografica, condotta attraverso le testimonianze sull’uomo scritte dai familiari, mancano le valutazioni sui suoi rapporti con la politica, i partiti e il regime. Una dimenticanza legata al proposito di rendere più simpatica l’immagine del compositore?
Andrea Estero