Scala, la prossima stagione

La migliore di Lissner, ma Verdi arranca e manca il barocco

Scala, la prossima stagione

Nuova Scala: la fase due non è ancora iniziata. La stagione di quest’anno si avvia alla conclusione in modo emblematico: novità, aggiornamento, rischio, per i titoli del Novecento o per il grande teatro europeo (questo mese, dal 6 al 17, Carsen per il Sogno di Britten, nella foto, a luglio una graffiante novità del giovane Cherniakov per l’Eugenio Onegin); prudenza e tradizione – andata a male – per quelli del repertorio italiano (ritorna, in concomitanza con il Sogno, l’Aida di Zeffirelli, trionfo del melodrammatico d’antan, dal 20). Arriverà il momento in cui anche Trovatore e Bohème si potranno vedere in spettacoli d’invenzione? Non nella prossima stagione. Bellissima, chi lo mette in dubbio. La più riuscita dell’era Lissner. Con un giusto equilibrio tra le varie anime del teatro musicale europeo ottonovecentesco: da Verdi (Rigoletto e Simone) a Wagner (Tannhäuser, Oro del Reno), da Rossini e Donizetti (Barbiere ed Elisir) a Gounod (Faust), da Berg (Lulu) a Janácek (Casa di morti), senza scordare Mozart (Don Giovanni). Partendo da quella Carmen d’inaugurazione che ha nella direzione di Barenboim, in un cast di stelle (Schrott, Kaufmann) e debuttanti (la quasi “studentessa” Rachvelishvili) e nella regia scomoda di Emma Dante i suoi punti di forza. A proposito di registi, non mancano i nomi giusti: da Chéreau a Stein, da Cassiers a Nekrosius, da Pelly al Pedrissa della Fura dels Baus, con una linea che accuratamente scansa le punte più aguzze della recente riflessione teatrale. Ma vengono chiamati a confrontarsi con autori che non siano i “nostri” Verdi e Rossini, per i quali si propongono spettacoli storici più o meno riusciti (dal Ponnelle del Barbiere al deprimente Deflo del Rigoletto). O di sicura scuola italiana (Federico Tiezzi per la nuova produzione del Simone). Si salva il solo Elisir (nella foto) affidato a quel genio di Pelly. Per il resto che dire? Ottimo ma non indiscutibile il parco direttori (Barenboim, Salonen, Gatti, Conlon, Mehta), con giovani innesti francofoni (Spinosi, Denève, Langrée) e presenze eccitanti nel sinfonico (Boulez, Pappano, Abbado). Cast da sentire, con molti debutti (Domingo che canta Simone, Pape Wotan) che fanno tanto “primo teatro lirico del mondo”. E il barocco? E il contemporaneo? Il prossimo anno saltano un giro.

(26 maggio 2009)


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