interpreti T. Kerl, L. Braun, S. Milling, J. Rutigliano direttore Zubin Mehta regia Stefano Podo teatro alla Scala teatro Comunale “Mehta è sembrato dimenticare di quale sconvolgente accensione erotica e di abissale tragicità di morte sia pervaso tutto il Tristano, optando per una tranquilla e quasi metronomica scansione della melodia”
FIRENZE – Con Tristan und Isolde, celebrazione postuma del centenario wagneriano, si è inaugurato il Maggio Fiorentino 2014, l’ultimo – si annuncia – che si terrà nello storico tempio del Teatro Comunale: uno spettacolo molto suggestivo – ma accolto con reazioni contrastanti – firmato in toto (scene, costumi, luci molto intelligentemente impiegate, movimenti coreografici) da Stefano Poda, che ha optato per una narrazione in chiave decisamente simbolica e allusiva, a cominciare dalla centrale montagnola di riso su cui per tutta l’opera è scorso un filo di luce, come in una candida clessidra, a scandire l’inesorabile ma anche incantato scorrere del tempo, o dalla sfera (mondo, o sole?) che la sovrastava, alla cullante tolda sospesa e alle proiezioni di vele ondeggianti alludenti alla fatidica navigazione al I atto. Ma dove le capacità di Poda di ri-inventare e animare un originale mondo figurativo intorno a un’azione pressoché inesistente hanno toccato il massimo della suggestione è stato al II atto, in cui il duetto di due amanti che mai giungevano a toccarsi è apparso ritmato da una schiera di fantasmi della memoria (fanciulli, dame, cavalieri) emergenti da sotto il palcoscenico e mossi in un rallenti estenuante e misterioso. Se l’interpretazione decisamente non-realistica di Poda era chiara fin dall’inizio, difficile invece dire quale sia stata la chiave di lettura di Zubin Mehta di una partitura a lui così familiare: dopo un bellissimo preludio, con l’orchestra del Maggio in gran forza, Mehta si è poi raccolto in una sonorità quasi ovattata (forse per non coprire il modesto spessore vocale degli interpreti?), e quasi si trattasse di un Pelléas ante litteram, è sembrato dimenticare di quale sconvolgente accensione erotica e di abissale tragicità di morte sia pervaso tutto il Tristano, optando per una tranquilla e quasi metronomica scansione della melodia infinita immaginata da Wagner, salvo riprendere quota nei puri momenti sinfonici senza voce e nella morte d’amore di Isolde. Certo, la compagnia di canto, a parte un apprezzabile Marke di Stephen Milling (ma il re, ahimé, canta una ventina di minuti nell’arco di 4 ore) aveva in Torsten Kerl un Tristano di colore nasale e di modesto spessore vocale, tutt’altro che Heldentenor, e in Lioba Braun una Isolde un poco più decorosa, nonostante la faticosa tensione nel registro acuto; appena corretta Julia Rutigliano come Brangania, mentre il Kurwenal di Juha Uusitalo era al di sotto della sufficienza, con un canto al limite del grido stonato. La risposta del pubblico tuttavia è stata molto positiva, con autentiche acclamazioni per Mehta: ma alla terza recita, il teatro era pieno neppure a metà. Si dovrà credere che per riportare al teatro un pubblico diverso e rottamare quello degli habitués si debbano fare i galà misti di atti d’opera e di balletto, come quello che ha inaugurato festosamente (per la terza volta) la nuova Opera di Firenze? Operazione di facciata, culturalmente discutibile, nonostante la presenza di artisti come Cedolins, Kunde, Maestri e la nuova Maria Agresta; pubblico del tutto occasionale: la sublime morte delirante di Tristano, tre giorni prima, si era infatti svolta di fronte a una platea semivuota.
Cesare Orselli