Rossini – Le comte Ory

interpreti  Y. Shi, M.J. Moreno, L. Polverelli, N. Gavrilan, L. Regazzo, R. De Candia
direttore Paolo Catrignani
orchestra Teatro Comunale di Bologna
coro Prague Chamber
regia Lluis Pasqual
dvd ArtHaus Musik 101 649
prezzo € 29,90

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Nel 2009 il Rossini Opera Festival, sede delegata d’ufficio a lucidare gli ori segreti del teatro del Pesarese, ha affrontato il cimento con Le Comte Ory  con una rappresentazione adesso in video, che riesce però a centrare solo in parte l’obiettivo. Cosa latita in questo pur decoroso Ory? Forse la sua dote suprema, ovvero quello chic che permise a un autore solo trentaseienne di tentare, sulla base di potentissime  antenne, la conciliazione tra l’illuministico cinismo che gli era innato e la temuta  avanzata delle nemiche truppe della Romantik. Le latitanze riguardano un po’ tutte le componenti dello spettacolo: a cominciare dalla direzione orchestrale di Paolo Carignani il quale, alla guida della compagine bolognese e di un non eccezionale coro da camera praghese, còmpita con qualche esuberanza il tema della maschera insito nell’opera facendo tuttavia venir meno quel gusto per l’allusione erotica elegante e crudele e quell’alito di rêverie notturna che ingemmano il perfetto simulacro classicista dell’opera costringendolo alla dissimulazione. Ma non dissimile parzialità di resa va attribuita ai cantanti preposti. Racchiuderò il concetto in una sola frase: se in un’opera qualsiasi possiamo dirci contenti se fruiamo di un team omogeneo e ben addestrato, nel Comte Ory è necessario che in scena agiscano almeno tre prime parti non meno che eccelse. E qui ne registriamo solo una, la Contessa Adèle del soprano Maria José Moreno la quale pare davvero l’unica abile a restituire i prodigi di agilità e il senso di malizioso inappagamento che si cela sotto le vesti pudiche della sposa in attesa. Il tenore Yije Shi presta una simpatica voce di leggero senza inopportuni sbiancamenti alla terribile parte del protagonista ma solo a metà riesce ad appropriarsi del suo stupefacente registro di forzata velleità erotica; i sovracuti di Ory, è bene non dimenticarlo, devono la loro difficoltà non solo all’estensione ma al fatto di essere emessi quasi tutti sul tempo debole, la qual cosa dovrebbe fare l’effetto più di un galletto stizzito che non di un efebo. Gradevole è senz’altro la movenza scenica ma esigua la lucentezza, sì che le ascese più perigliose della partitura Shi le acchiappa tutte perché sa cantare ma nessuno ci fa davvero caso. Il rimanente non è poi così male, ma nemmeno così bene: per la parte di Isolier, terzo smeraldo di un collier inarrivabile, ci vorrebbe più galanteria e più ambiguità sessuale di quelle messe in campo da Laura Polverelli, mentre Roberto De Candia, Raimbaud, e Lorenzo Regazzo, il Governatore, fanno del loro meglio. Resterebbe da dire della regia di Lluis Pasqual, altrove ottimo compilatore di testi operistici e qui per mio conto impari alla scommessa. Il tutto scorre più o meno piacevolmente ma senza cogliere l’essenza della decorazione gotica rossiniana; e il meraviglioso terzetto delle effusioni sessuali perde la sua alta cifra di equivocità riducendosi a una sbiadita comparsata.
Aldo Nicastro

 


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306 Novembre 2024
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