Paolo Rossi da regista a Spoleto (Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, dal 26 al 28 settembre) non smette di osare con l’abbinata Puccini-Donatoni. Rievocherà gli esordi lirici impersonando un morto e poi un malato.
È una mente sempre in ebollizione con una creatività spinta perennemente al massimo. Tanto che di lui due importanti autori televisivi e teatrali come Gino e Michele ebbero a dire scherzosamente che “parla quattro lingue, ma purtroppo tutte contemporaneamente”. Ora Paolo Rossi, l’attore, cantautore e comico, classe 1953, sembra aver preso gusto a vestire i panni di regista d’opera, oggi alla sua quarta prova. Un nuovo debutto l’attende infatti, il 26 settembre, per i 150 anni dall’inaugurazione del Teatro Nuovo di Spoleto con il Teatro Lirico Sperimentale, in chiusura di stagione, con un originale dittico che vedrà affiancate un’opera degli inizi del ‘900 come Gianni Schicchi di Puccini ad una del nuovo millennio, Alfred, Alfred di Franco Donatoni. Una messinscena che toccherà fino al 4 ottobre non solo Spoleto, ma anche Perugia, Assisi, Città di Castello, Todi e Orvieto.
Un’abbinata di titoli molto particolare e audace. Di chi è stata l’idea?
“Il suggerimento è venuto dallo stesso direttore didattico-artistico del Teatro Lirico Sperimentale, Michelangelo Zurletti, che ha visto una sorta di continuità in queste due atti unici. E infatti, nella mia testa, vedo un unicum drammaturgico ambientato in un ospedale tra malati da curare e morti da mandare all’obitorio”.
Provenendo dal teatro di parola, come sì è avvicinato all’opera lirica?
“In realtà, è un ritorno alle origini. Perché la mia prima prova d’attore nel 1978 è stata proprio in un’opera da camera, Histoire du Soldat di Stravinskij, con la regia di Dario Fo. Da allora la musica mi ha sempre accompagnato nei miei spettacoli, alcuni definiti dalla critica ‘antimusical sociali’. E il mio debutto assoluto nella regia lirica, avvenuto proprio qui a Spoleto nel 2010 con Il matrimonio segreto di Cimarosa, mi ha trovato completamente a mio agio”.
Che cosa la fa “sentire a casa” nel nostro melodramma?
“Trovo che sia quel genere di teatro popolare che ho sempre fatto e che va incontro alla gente con drammaturgie di sicura presa sul pubblico raccontando storie universali e di grande umanità. Ma bisogna far attenzione, perché l’opera lirica deve tornare oggi a parlare alla gente con un linguaggio più semplice”.
Qual è il suo linguaggio in Gianni Schicchi e Alfred, Alfred?
“Come sempre mi muovo direttamente sul palco, durante le prove, per costruire lo spettacolo, giorno dopo giorno. Non arrivo mai con idee preconcette. Tutto dipende dal materiale umano, dai cantanti in questo caso, che ho a disposizione. E poi mi affido molto al trovarobato, ovvero a quell’insieme poco costoso di arredi scenici minori, accessori e ornamenti che utilizzo per caratterizzare l’ambientazione. Per questo non faccio spendere molto ai teatri e, di conseguenza, i direttori artistici mi adorano!”.
Che sorprese ci si deve aspettare dalla sua regia?
“Innanzitutto occhio al palco nelle prime recite perché ci sarò anche io: in Gianni Schicchi come morto in scena, alias Messer Buoso, e in Alfred, Alfred tra i malati presenti. Quest’ultima opera infatti, con un libretto tratto da frasi della quotidianità ospedaliera, vede un’alternanza d’improbabili scenette con medici e infermiere al capezzale di un diabetico compositore. E qui mi divertirò a creare una surreale e grottesca comicità aiutato anche musicalmente dagli effetti di parlato-intonato dello “Sprechgesang”.
(Antonio Garbisa)
Sep262014
Paolo Rossi regista per Puccini e Donatoni
A Spoleto e altrove fino al 4 ottobre con il dittico “Gianni Schicchi” - “Alfred, Alfred”