interpreti A. Netrebko, M. Prudenskaja, G. Rivero, P. Domingo direttore Daniel Barenboim orchestra Staatskapelle Berlin regia Philipp Stőlzl dvd Dg 00440 073 5132 prezzo € 23,70
Da che mondo è mondo si va a vedere Il trovatore sperando di assistere a un’altissima competizione vocale. Il fatto è però che, non soltanto ciò non si verifica mai o quasi mai, ma che obbedendo soltanto a tal postulato si trascura ciò che fa l’autentico sortilegio di questo capolavoro e cioè la sua geniale forza di ibrido drammaturgico; per dirla con precisione la facoltà di far emergere per la prima volta la “verità” di un’opera quasi contro o a dispetto della vecchiezza del suo impianto strutturale, ovvero la più superba collana di pezzi lirici mai venuta al mondo. Quest’ultima apparizione in video proveniente dalla Staatsoper di Berlino, ove l’opera è andata in scena nel dicembre dello scorso anno, sembra fatta apposta per metter in luce tal peculiarità, e ciò non è certo avvenuto per caso. Fra i cantanti intanto è d’uopo riconoscere in Madame Netrebko la migliore Leonora che si sia ascoltata dai tempi di Callas e Caballè: voce di splendido colore e omogeneità, onde la facoltà di sfornare un “D’amor sull’ali rosee” qual non si udiva da tempo, obbedendo peraltro a un dilatato tempo d’accompagnamento di notevole difficoltà. Tenendo conto di prova siffatta era arduo per chiunque pareggiare i conti; pure, si son ammirati il sontuoso volume della Azucena di Marina Prudenskaja, canto lievemente sfogato ma anche forte presenza attoriale; e la brunitura tuttora lucente del timbro di Placido Domingo che, riuscendo a malapena a celare l’origine tenorile, consegna con dovizia la nobiltà e l’alterigia dell’accento che gli conoscevamo all’attuale Conte di Luna. Rimane Gaston Rivero, il quale non è forse il Manrico che ci sogniamo la notte, dimostrando carenza di squillo e di eroicità; e tuttavia non canta male costui, facendo aggio su un legato e una tendenza naturale all’elegia che gli procurano buoni esiti soprattutto nel quarto atto. Non è il cavaliere gotico d’antica memoria, ma quel profilo di perdente ha un che di nuovo e non necessariamente improprio. Barenboim, infine, fa mostra di non ignorare la sfaccettata agogica verdiana, salvo che per qualche attenuazione degli scatti melodrammatici, ma imposta la sua lettura su un’attenzione precipua al colore strumentale che conferisce all’opera il suo carattere eminentemente notturno. Ha lavorato bene qui il maestro, ed è visibile a orecchio nudo che Il trovatore gli piace.
Farò un capitoletto a parte per la regia di Philipp Stolzl, che è a mio giudizio la cosa di maggior interesse dello spettacolo berlinese. Scena praticamente nuda, il pavimento di una stanza a losanga che può esser adibita a cella come a monastero, ove prende avvio una vicenda teatrale che trae la sua originalità dalla commistione tra quel “falso” e quel “vero” di cui prima s’è detto, accorpando in unico contenitore commedia dell’arte, circo equestre (l’orso ammaestrato del campo dei gitani) e specialmente opera dei pupi, come testimoniano le movenze e i costumi dei cantanti, tutti attenti a tal postura interpretativa, con particolar merito per le due presenze femminili. I registi d’area tedesca non si distinguono di norma per quoziente intellettivo superiore (è un eufemismo), ma Herr Stolzl mostra di far eccezione offrendo un Trovatore di rara intelligenza.
Aldo Nicastro