Bizet – Carmen

interpreti V. Kasarova, J. Kaufmann,
I. Rey, M. Pertusi, G. Bermudez, J. Camarena
direttore Franz Welser-Möst
orchestra Opera di Zurigo
regia Matthias Hartmann
regia video Felix Breisach
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Ted.
dvd Decca 0743881
prezzo € 23,70

 

CARMEN-BIZz

Non mancano motivi d’interesse per questo documento d’una recita del 2008 all’Opera di Zurigo, quantunque l’amaro in bocca che lascia sia rilevante. La direzione, innanzitutto: Welser-Möst era il gelido ragioniere musicale anche a Zurigo, prima d’esserlo a Vienna, e fa una Carmen pesante, artritica, in bianco e nero, senza neppure un ette di sensuale abbandono o di vibrante incisività deputate per intero al cast. Lo spettacolo di Hartmann, con la sua pedana circolare rialzata contro un ciclorama che muta colore; con l’estrema penuria d’oggettistica; con l’assenza pressoché completa di elementi folcloristici: ha sorprendenti analogie con quello, stranissimamente dispersosi e mai più ripreso però per fortuna registrato su dvd, di Pappi Corsicato al San Carlo. Che tuttavia era molto più coerente (l’oggettistica era del tutto assente; i gesti molto più compatti e di plastica evidenza; i movimenti delle masse calibrati senza confronto meglio), teso e senza le cadute in inutili quiz simboleggianti o in strizzatine d’occhio in cui incorre questo. Cosa vorrà mai significare, quel cagnolino di pezza al proscenio durante il prim’atto, che Carmen va ad accarezzare e allora solleva ritmicamente un’orecchia? Non è banalotta, l’idea d’una porta che s’apre sul nulla? E quell’ombrellone sotto cui si piazza José a consumare la merendina? e la taverna di Lillas Pastià segnalata solo da un erogatore di birra sul fondo, illuminato di blu? e le sigaraie con in bocca enormi e lunghissimi sigari che fanno andare su e giù nella bocca, non è che per caso…?
Al passivo c’è purtroppo la protagonista: Vesselina Kasarova stava arrivando al termine della sua parabola ancora valida, e l’emissione fatica a tenere assieme una linea che tende a spezzarsi in due, originandone i soliti acuti tirati e duri, i gravi aperti e gutturaleggianti. Cerca con lodevole ostinazione accenti e colori, evitando ogni caduta nella sguaiataggine: ma i patteggiamenti sono tanti, e non sempre la bravura scenica riesce a compensarli. Isabel Rey è una Micaela di buon governo, canta benino pur con diverse stridulità, petula quasi niente e riesce persino a portare in giro con disinvoltura la divisa da marinaretta che le hanno appioppata. I ruoli di fianco hanno Frasquita e Mercédès brave a vedersi ma non ad ascoltarsi; un duo Remendado-Dancaïro eccezionale col giovane Javier Camarena e con Gabriel Bermudez (proprio lui, quello che purtroppo s’è poi fatto un nome cantando nudo sotto la doccia: beh, è un gran bel vedere però lo si ascolta anche volentieri); l’ottimo Zuniga di Morgan Moody, che recita in modo formidabile la sua morte al termine del second’atto.
Ma Michele Pertusi è probabilmente l’unico, assieme a Van Dam ma anche meglio di lui, ad aver risolto in tempi recenti la carognissima tessitura di Escamillo. I tanti fa acuti sono solidi come il granito, al pari del così sollecitato registro centrale, da cui scende con ampiezza e senza alterare in nulla lo splendido colore timbrico: ma soprattutto, coglie alla perfezione lo spirito dei couplets francesi “raccontando” una situazione con un profluvio di chiaroscuri a renderla antitetica – cosa rarissima – ai sonagli che squillano di Alfio; il duello scolpisce un carattere nobilmente virile lasciando al secolo passato le pose da macho di periferia; e il duetto con Carmen è una meraviglia di brunita morbidezza. E poi, naturalmente, c’è Kaufmann che con ogni probabilità è la ragion d’essere di questa pubblicazione. Però lo merita. E ci ricorda l’effetto che per la prima volta suscitò quel suo attacco dolcissimo del “fiore”, quel prosieguo dove torrenti di bronzo sonoro svanivano in soffi di dolente abbandono melanconico, quella chiusa alitata in una mezzavoce da sciogliere anche i sassi e non solo Carmen. Quel finale terzo, la bestia nera d’ogni José, resa un’unica colata di suono ampio, vibrantissimo ma senza alcuna concessione all’effettaccio brado. Quel finale così asciutto, duro, commoventissimo. E poi l’attore. E poi la presenza. E poi, insomma: è Kaufmann.
Elvio Giudici

 

 


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