interpreti P. Appleby, A. Coote, D. Petersen, M. Nisticò, J. Zetlan direttore David Robertson orchestra teatro Metropolitan 2cd Nonesuch 795602 prezzo € 26,20
Il discorso sull’opera americana, che da diversi decenni mostra ottima salute tanto qualitativa quanto di riscontro di pubblico ma è sostanzialmente sconosciuta da noi – nonostante le ormai sempre più numerose documentazioni audio e video -, andrebbe fatto ma sarebbe qui troppo lungo. Resta però il fatto che quest’opera è solo l’ultimo successo arriso al progetto del Metropolitan di valorizzare il teatro musicale americano contemporaneo. Opera di soggetto e svolgimento oltremodo singolari, sorretti da libretto eccellente e da musica di spiccato coinvolgimento espressivo. Le chat room del web. Luogo d’incontro, di menzogne, d’identità fasulle costruite dalla frustrazione, dall’immaturità coi suoi desideri impossibili: pronube d’esiti sovente tragici.
Un teenager è pugnalato e reso in fin di vita da un altro maggiore di lui di qualche anno appena. Investiga una poliziotta molto stile Prime Suspect, dai molti problemi personali – alcolismo incipiente, figlio difficile – che addentrandosi nella realtà virtuale scopre come l’assassinato desiderasse il suicidio ma non avesse il coraggio, creando così tutta una pletora di personaggi (una ragazza, il di lei fratello, individui ambigui e sicari, spie internazionali) e di situazioni (fughe, stupri, omicidi) di cui viene rievocata la vita virtuale eppure tanto concreta da attirare un ragazzo spingendolo appunto all’omicidio. Storia realmente accaduta, pare, in quel di Manchester una decina d’anni or sono. Impianto di spiccata teatralità, dunque, che rende letto di Procuste una registrazione solo audio. Molto bella la musica, comunque, che parte da un’area prossima al minimalismo alla Philip Glass ma evolve subito verso accenti semmai debitori al teatro di Adams, con marcati tratti di autonoma, robusta personalità: ricchezza di suono, varietà di colori, superbo dominio della polifonia corale (il mondo del web che brulica di suoni virtuali in grovigli d’arpeggi d’archi e xilofono, si materializza in modo affascinante) e più in generale del canto, valorizzato in modo senz’altro raro con ariosi o arie vere e proprie di grande suggestione ma ancor più grande plasticità teatrale.
Esecuzione, affidata agli interpreti della prima, ovviamente perfetta. Ma che rabbia, l’assenza delle immagini!
Elvio Giudici