interpreti A. Netrebko, S. Skorokhodov, V. Kowaljow, A. Markov, L. Meachem direttore Emmanuel Villaume orchestra Filarmonica Slovacca 2 cd Dg 4793969 prezzo 26,20
L’universo sonoro di quest’opera, immerso in un clima preraffaellita dominato da acquarelli diafani dai colori morbidi e liquescenti, ha insito il pericolo di un’evanescenza drammatica che contrasta invece con l’incisività sentimentale che Ciaikovskij costruisce con una sapienza tale da lasciare stupefatti che simile capolavoro sia stato – e tuttora in fondo sia – ai margini del repertorio. Paladina indefessa di Iolanta è sempre stata Anna Netrebko, che è riuscita a imporla anche al Metropolitan, dove proprio in questi giorni s’è concluso il ciclo di recite che la presentava in coppia col Castello di Barbablu di Bartók. E paladina migliore riuscirebbe difficile ipotizzare. Fin dall’arioso iniziale intriso di un’inquietudine sommessa ma che fa vibrare corde di sensualità tutta a fior di pelle, la Netrebko cesella ogni frase con una finezza e una ricchezza chiaroscurale straordinarie, esplorando ogni piega d’una repressa, contorta eppure finalmente trionfante libertà sentimentale, che via via emerge con sempre maggiore consapevolezza fino alla vera e propria esplosione erotica che pervade da cima a fondo il duetto con Vaudémont: cui Sergheij Skorokhodov dona accenti un po’ più guardinghi, non riuscendo a tener del tutto testa a una Iolanta così esplosiva.
Kowaljow fa come sempre valere la morbida bellezza d’un timbro privilegiato, cui tende però a sacrificare una maggiore ricerca di chiaroscuri espressivi. L’aria forse più elaborata e originale dell’opera, quella del medico arabo Ibn Hakia (che assicura come la cecità di Iolanta – che della sua infermità è ignara, e mantenuta da tutti nella sua inconsapevolezza per volere del padre – sia psicosomatica e quindi passibile di guarigione allorché vorrà guarire), trova in Lucas Meachem un interprrete di grande finezza se non proprio di grande autorità vocale. Emmanuel Villaume fa un buon lavoro con la coscienziosa orchestra slovena, ma certo non è Gergiev e neppure il mai dimenticato Vladimir Delman d’una remota incisione Ricordi cui personalmente ritorno ogni volta con immutata ammirazione.
Elvio Giudici