Debutta “Jenufa” di Janácek

Il 17 aprile al Comunale di Bologna in coproduzione con La Monnaie e Bolshoi

Jenufa La Monnaie 1_0Un infanticidio consumato in un ambiente contadino poco incline ad ammettere gli scandali. Di questo racconta Jenufa, l’opera più nota del compositore moravo Leós Janácek che debutta, dal 17 al 23 aprile, al Teatro Comunale di Bologna – in coproduzione con Bolshoi e La Monnaie (nella foto l’allestimento di Bruxelles) sotto la bacchetta esperta dello slovacco Juraj Valcuha, classe 1976, direttore principale dal 2009 dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai.
Qual è oggi l’aspetto più interessante della musica di Janácek?
“C’è una caratteristica speciale che lui stesso ha inventato chiamandola scasovka. Un termine, non traducibile in italiano, che sta a significare un motivo ritmico corto che lui ha usato in tutte le sue opere dell’ultimo periodo. Si tratta di un piccolo motivo che va a disturbare la melodia per sottolineare un aspetto psicologico diverso in momenti diversi dell’opera. Questo dà una particolare pulsazione alla costruzione musicale. Un’altra originalità è la raffinata e moderna orchestrazione che punta sempre all’essenziale, oltre a quell’ossessione musicale continua che si trova nei suoi personaggi, frutto delle ossessioni legate alle figure femminili incontrate nella sua vita”.
Lei è un grande conoscitore della musica di Janácek. Quali sue opere ha già diretto?
“Ho studiato, durante i miei anni di conservatorio a Bratislava, con gli studenti del compositore moravo, oggi ultimi testimoni della sua arte. E della sua musica ho diretto i suoi due pezzi sinfonici più importanti, Taras Bulba e Sinfonietta. Sono molto contento di dirigere quest’opera a Bologna con l’Orchestra del Teatro Comunale che reputo tra le più capaci di passare con eccellenza da Bellini a Wagner, da Ravel a Richard Strauss”.
Da che cosa deriva il senso del teatro e la potente caratterizzazione drammatica dei personaggi in Jenufa?
“Janácek aveva l’abitudine quando passeggiava per strada di portare con sé un quaderno dove appuntava quello che sentiva dalla gente del popolo. Lì scriveva l’intonazione della lingua ceca, scoprendone la sua musicalità. Ad esempio, evidenziava su un ‘come va?’ le differenze che passavano se pronunciato da un giovane o da una donna anziana, di mattina oppure di sera. È uno studio che lui ha applicato anche nelle opere. Tanto che la lingua ceca nei suoi melodrammi acquista una naturalezza e una verità straordinarie. E questo fa diventare questa lingua in Jenufa, come in altre sue opere, molto espressiva anche a chi non la comprende e non la conosce”.
Per prepararsi a quest’opera esiste un’edizione discografica di riferimento?
“Le edizioni ceche che sono molto buone, ma ottima sia per il cast sia per la prestazione orchestrale dei Wiener Philharmoniker è quella diretta da Sir Charles Mackerras, grande conoscitore e difensore della musica ceca”.
A Bologna la regia di Jenufa è del lettone Alvis Hermanis che ha incorniciato la vicenda in un’allegoria densa di riferimenti al Liberty e all’Art Nouveau, movimenti artistici coevi al periodo in cui Janácek la compose. È d’accordo con questa scelta?
“Mi piace questa idea perché oggi non si può più ridurre Jenufa ad un’opera nazionale. Ci sono sì elementi folclorici, essendo ambientata in un villaggio moravo, ma uscire un po’ da questo realismo con altri elementi legati al Novecento vissuto in prima persona da Janácek non può far altro che avvicinare quest’opera alla sensibilità contemporanea”.
Che cosa l’attende in Italia dopo Janácek?
“Alcuni concerti a Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai: il 7 e 8 maggio con il soprano Krassimira Stoyanova nei Vier letzte Lieder di Richard Strauss e a fine giugno in piazza San Carlo. Poi, a luglio, Turandot di Puccini alle Terme di Caracalla a Roma”.
 Antonio Garbisa


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