interpreti K. Velletaz, C. Dubois, J. Borghi, J. Véronèse, A. Buet direttore Guy Van Waas orchestra Les Agréments coro Choeur de chambre de Namur dvd Ricercar RIC 345 prezzo 36
André-Modeste Grétry (1741-1813) era morto da tempo; ma La Caravane du Caire rimase nel repertorio dell’Opéra fino al 1829, lo stesso anno in cui la rappresentazione del Guillaume Tell concluse la carriera francese di Rossini: un’altra epoca, lontanissima dal 1783 che aveva visto il primo successo della Caravane a Fontainebleau davanti alla corte di Maria Antonietta e Luigi XVI. Il successo di Grétry dipese dalla sua capacità di arricchire la tradizione dell’ “opéra-comique” e di ampliare le prospettive del repertorio della Academie Royale de Musique sostituendo alle severa tradizione della “tragédie-lyrique” un teatro dai caratteri drammaturgici leggeri, privo dei dialoghi parlati caratteristici dell’ “opéracomique”, ma con aggiunti i cori e le danze. La Caravane nella edizione a stampa è definita “opéra-ballet”, ed è in 3 atti, contiene parti corali significative, marce e danze, attira per il sapore esotico legato alla sua ambientazione egizia. Si tratta di una turcheria, come quelle (di fonte francese) di Gluck (Les pèlerins de la Mecque, 1764) e Haydn (L’incontro improvviso, 1775), e come il meraviglioso Ratto dal serraglio (con cui il confronto è ovviamente improponibile), rappresentato a Vienna nel 1782. Gli ingredienti della storia sono sempre gli stessi: una coppia di innamorati separata dal destino in un paese arabo rischia la vita tentando la fuga e si ricongiunge grazie alla clemenza illuminata di un sovrano (in questo caso il pascià del Cairo).
Zélime (Katia Velletaz) e Saint-Phar (Cyrille Dubois) sono entrambi schiavi del mercante Husca (Alain Buet), che viaggia con i suoi schiavi e altri in una carovana. Quando questa è attaccata da rapinatori, Saint-Phar per il suo valore nel respingerli viene liberato da Husca, che però ha destinato Zélime all’harem del pascià d’Egitto (Julien Véronèse), di cui è custode Tamorin (Reinoud Van Mechelen). Dal pascià arriva anche il capitano di vascello Florestan (Tassis Christoyannis), il padre di Saint-Phar che viaggia in cerca del figlio e che lo trova nel momento in cui fallisce il tentativo di rapire Zélime. La clemenza del pascià consente l’improbabile lieto fine, di cui peraltro chi ascolta l’opera non potrebbe mai dubitare, perché dalla prima all’ultima nota non c’è nemmeno il più vago sentore di tragedia. C’è molto garbo, eleganza, leggerezza, una vena piacevole e non priva di umorismo, ci sono i colori blandamente esotici del bazar (dove Husca vuole vendere i suoi schiavi), l’imitazione di un’aria seria italiana, qualche vago accenno di malinconia o patetismo. A una ventina d’anni dall’unica registrazione di questo significativo documento della storia del gusto era giusto riproporlo in cd, come è stato fatto nel 2013 nel teatro di Liegi, per iniziativa meritoria del Palazzetto Bru Zane, con ottimo esito: la compagnia di canto è tutta ben calibrata, direzione, coro e orchestra riescono persuasivi e stilisticamente pertinenti.
Paolo Petazzi