pianoforte Paul Lewis cd Harmonia mundi HMC 902096 prezzo 16,50
Dopo il lungo viaggio (anche discografico) attraverso l’intera produzione beethoveniana e il confronto non meno importante e convincente con il pianoforte di Schubert, percorsi che sembrano prolungare l’itinerario del maestro Alfred Brendel, il pianista inglese affronta due testi che sembrerebbero eccentrici rispetto al suo più definito habitat; in realtà si ritrovano in queste due esecuzioni quei tratti che si erano apprezzati nella prova beethoveniana e schubertiana, vale a dire quella trasparenza dovuta ad un pianismo plastico e duttile che lascia poco o nulla all’indeterminazione ma al tempo stesso coglie i trapassi più sensibili. Tratti che conferiscono un profilo particolare ai Quadri che Lewis ricrea essenzialmente sul filo musicale, alleggerendo la contrastata sequenza di quei tanti sovraccarichi effettistici che in vario modo hanno pesato su tante esecuzioni; lettura infatti per nulla riduttiva, ché anzi proprio da questo snodarsi più sciolto delle diverse situazioni l’ascolto è calamitato più che dall’“effetto” dal carattere di una musica di cui Lewis rivela la straordinaria originalità, ma senza alcuna sottolineatura stravolgente, come del resto aveva mostrato nel profilare la progressività del linguaggio beethoveniano, penetrato più nella sua incidenza espressiva che non evidenziato nei tratti più radicali. Una visione di rassicurante nitidezza per il respiro interno che rende il viaggio oltremodo avvincente, con quel particolare trascolorare della Promenade, quelle pause che aprono misteriose sospensioni, come in Catacombae, delibate con quella sottile magìa che pareva richiamare l’enigmatica ventesima variazione delle Diabelli, monumento la cui proposta discografica di Lewis avevamo appunto ammirato per l’equilibrio di un modo di discorrere che trova conforto nel sapiente controllo della sonorità e nella duttilità del fraseggio. Conforto che ci accompagna anche lungo l’avventura affascinante della Fantasia schumanniana che Lewis, anche se quel fremito indicibile dell’inizio che ci porta di colpo in una sfera di assolutezza sembra un po’ frenato, rievoca con sottile quanto sicuro coinvolgimento.
Gian Paolo Minardi