Ciaikovskij – Pikovaya dama

“Herheim porta in scena Ciaikovskij, o meglio il suo fantoccio: e si arriva al comico involontario”
interpreti M. Dydik, L Diadkova, S. Aksenova, V. Stoyanov
direttore Mariss Jansons
regia Stefan Herheim
teatro Opera nazionale olandese

40771-pique-dame-vladimir-stoyanov-svetlana-aksenova-dno-monika-forsterAMSTERDAM – Era lo spettacolo più atteso dell’anno. Il grande Mariss Jansons saliva per l’ultima volta sul podio operistico del Concertgebouw, che lascia quest’anno. L’opera d’addio è la Dama di Picche di Ciaikovskij, a specchio con l’Oneghin già realizzato tra Lucerna, Amsterdam e Monaco. Le premesse sembravano delle migliori. L’esito è stato più che deludente: una catastrofe senza attenuanti. Jansons ha diretto uno spettacolo, firmato da Stefan Herheim, letteralmente imbarazzante. Sia detto con cognizione nei confronti della produzione di questo regista, altre volte ammirato per letture teatralmente penetranti. Stavolta il risultato appartiene pienamente al genere del comico involontario. L’idea è quella di far discendere la Dama dalla omosessualità di Ciakovskij. Fin qui nulla di male. Anzi, il punto di partenza è più che pertinente. Quale compositore dell’Ottocento è più autobiografico, nello scrivere musica, dell’autore della “Patetica”? Ma al regista norvegese non basta rappresentare il rapporto orale di Ciaikovskij ad Hermann sulle note dell’introduzione. Né, alla fine, lasciar emergere il suo cadavere dal gruppo di giocatori che si ammassano intorno allo stesso protagonista agonizzante.

piquedame_credits-karl-en-monikaforster-No, Herheim si affeziona a Ciaikovskij, o meglio al suo fantoccio: fronte alta, capelli bianchi all’indietro, barba e pizzo fluenti secondo la moda pietroburghese. E lo tiene sempre in scena ad aggirarsi, gesticolare, intervenire nelle vicende dei personaggi. A farsi spintonare e maltrattare da nobili e alti ranghi. Nei momenti di espansione melodica e “creativa” della musica, perfino a suonare istericamente il pianoforte, a dirigere l’orchestra e a comporre come in preda al più banale dei raptus d’artista. Ciaikovskij pupazzo, quando non è Ciaikovskij, è il principe Eleckij: forse perché il destino di questo promesso sposo gentile, che si preoccupa troppo del destino della sua fidanzata che non l’ama al punto da fuggirla, deve essere sembrato affine a quello di Petr Il’ic che vide naufragare il suo matrimonio di copertura in poche settimane.

pique2L’impianto è condito da altre ridondanti e strampalate soluzioni (il coro maschile è formato da una schiera di cloni del compositore i quali spesso e volentieri cantano bevendo un bicchiere di acqua contaminata, allusione all’avvelenamento da colera del compositore) che non conviene neanche riportare. Forse nessuno ha spiegato a Herheim che quello drammatico – rispetto al lirico e all’epico – è il genere più impermeabile all’espressione diretta, immediata, dei sentimenti dell’autore-narratore. Purtroppo neanche Mariss Jansons: la cui direzione è invece molto bella nel restituire il lato classico, stilizzato, pseudo-mozartiano dell’opera; ma pure parca di quelle frenesie che la partitura si concede – con altrettanta, affilata, asciuttezza – nei momenti più allucinati e visionari. I cantanti sono tutti eccellenti: il protagonista suo malgrado Ciaikovskij-Eleckij, Vladimir Stoyanov, ruba la scena a quelli veri, Hermann, Misha Didyk, e alla contessa, Larissa Diadkova. Più di quelle di Liza, Svetlana Aksenova, emergono le doti vocali di Anna Goryachova, la confidente Polina che qui – ça va sans dire – è orgogliosamente mascolina.
Andrea Estero


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