interpreti A. Blue, J. Johnston, R. Mühlemann, M. Mikelić, G. Zeppenfeld, P. Grahl direttore Daniele Gatti orchestra e coro dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia
ROMA – Robert Schumann ha composto una sola, bellissima, opera: Genoveva. Sì: bellissima. Checché si ostinino ancora a dire e a scrivere gli integralisti duri e puri del melodramma. Poi ha scritto due oratori, Il Pellegrinaggio della Rosa e Il Paradiso e la Peri, uno più bello dell’altro. Inoltre ha messo in musica sette scende del Faust di Goethe. Virginio Puecher ne sperimentò nel 1984 una messa in sena al Teatro La Fenice di Venezia. E aveva ragione, perché di teatro si tratta. Come anche per i due oratori “profani”. Niente di strano che Schumann pensasse a un oratorio non sacro. Ci aveva già pensato Handelcon Hercules e Semele. Ma l’aspetto più interessante è un altro. Che non sono veri oratori. Sono vero e proprio teatro, un “teatro della mente”, come il madrigale drammatico del tardo Rinascimento. Ma per un altro verso annunciano certo teatro del Novecento, in cui è la musica stessa a farsi azione. Musica, però, come realizzazione del nocciolo più intimo della poesia, della parola, musica che si fa letteratura, pensiero. O, meglio, che abolisce la separazione tra musica e poesia, tra musica e letteratura. Questa musica va ascoltata come estrinsecazione del significato più segreto della parola. Ovvio pensare al Lied, alla canzone. Ma un Lied tutto particolare, che, dopo Schubert, proprio con Schumann stabilisce un colloquio continuo tra melodia e parola, tra strumento e voce.
Daniele Gatti, forte forse anche della sua esperienza bayreuthiana, e dell’assidua frequentazione di Wagner e del repertorio tedesco, questo colloquio tra gli strumenti e la voce lo restituisce con intensità accattivante e con straordinaria lucidità interpretativa. Il mito della Peri che chiede redenzione dalla colpa originaria di genio asservito al Male Assoluto, cioè ad Arimane, è struggente: comincia con il pianto di un angelo che ha pietà del dolore della Peri e finisce con le lacrime di pentimento di un peccatore. In mezzo, il sangue di un eroe della libertà, il bacio di una donna che succhia la morte dalle labbra dell’amato. Il male è ineliminabile, guarirne si può solo buttandoselo alle spalle. Una partitura per “anime serene”, scrive Schumann, ma intrisa da cima a fondo di malinconia, d’irredimibile sofferenza. E’ la cifra consueta di tutto Schumann.
Splendidi tutti gli interpreti, la Peri di Angel Blue, l’Angelo di Jennifer Johnston, Regula Mühlemann, Martina Mikelić, Georg Zeppenfeld, Patrick Grahl e tutti gli altri, superba la prestazione dell’Orchestra e del Coro dell’Accademia di Santa Cecilia. Successo trionfale per tutti, com’era giusto.
Dino Villatico