Giovani, precari e mal pagati. È la fotografia dei lavoratori “freelance” dello spettacolo dal vivo nel nostro Paese. Lo scatto inclemente è della Fondazione Di Vittorio che, insieme a Slc-Cgil, ha condotto la ricerca “Vita da artisti”, presentata a Roma ieri. Punto critico i cosiddetti giovani: gli under 45 (il 71%) percepisce una retribuzione annuale di poco più di 5.000 euro e ha per l’80% contratti temporanei (gli iscritti al sindacato sono solo per il 17%). Stando ai dati Inps del 2015, sono circa 137 mila le persone che lavorano nel settore: più della metà attori (54,2%); seguono i concertisti e gli orchestrali (18,9%), i lavoratori nel ballo, figurazione e moda (11,8%) e i cantanti (5,8%).
Colpa delle politiche dissennate che hanno caratterizzato la classe politica negli ultimi anni e della scarsa sensibilità istituzionale: “Manca la percezione che il lavoro culturale sia lavoro a tutti gli effetti”, commenta il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. “Se nei vari territori le grandi risorse che sono state dedicate ai centri commerciali, fossero state impiegate per i circuiti culturali, avremmo un clima differente”.
Ai mancati investimenti fanno da contraltare infatti le difficoltà economiche dei lavoratori, denominatore comunque un po’ a tutti i settori. La precarietà e la disponibilità a continui trasferimenti sembrano del resto il tratto distintivo della categoria, con una media di cinque contratti l’anno e tanti lavoretti per far quadrare il bilancio familiare. In media, infatti, gli artisti italiani sono stati retribuiti per soli 34 giorni, nel 2015,
Più della metà degli artisti (51,4%) percepisce fino a 5mila euro l’anno. Il 37,5% percepisce tra i 5mila e i 15mila euro e solo il 4,2% del campione arriva a 25mila euro l’anno. I ballerini sono quelli che guadagnano meno (90,5% di loro guadagna meno di 10.000 euro), seguono i musicisti (80,8% di loro) e gli attori (78,4%), mentre i redditi leggermente migliori si registrano tra gli autori, registi, drammaturghi e scenografi (64,8%).
Le donne, che sono il 45%, vengono retribuite mediamente meno degli uomini. I rapporti di lavoro sono spesso frammentati e molto eterogenei, regolati da formule contrattuali diverse; pochissimi i tempi indeterminati, molte le collaborazioni, le partite Iva, i voucher. Spese, rimborsi, trasferte sono i problemi all’ordine del giorno che flagellano la categoria. Senza contare che essendo freelance molti lavoratori non sono iscritti al sindacato dunque poco tutelati.
Allarmante la durata dei periodi in cui gli artisti restano senza lavoro: la maggioranza del campione intervistato per l’indagine è rimasto disoccupato per oltre quattro mesi. Tanto che Susanna Camusso, ha commentato: “Più che un’indennità di disoccupazione, per i lavoratori dello spettacolo avremmo bisogno di un ammortizzatore di continuità, che interviene fra un lavoro e l’altro. In modo da riconoscere che questo tipo di lavoro non si esprime solo quando sei sul palco, ma è fatto anche da tanta preparazione”. Altri problemi endemici la retribuzione incongrua e il lavoro nero.
Livia Ermini
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