Un’opera contemporanea all’interno della stagione lirica di un teatro di tradizione come il Regio di Parma accompagnata da un apposito Focus sull’argomento con incontri, film, letture, laboratori e masterclass, lezione-concerto e prove aperte (nell’immagine un manoscritto dell’Opera per gentile concessione dell’Archivio Nono). È quello che accade per l’esecuzione di Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono, di scena, dal 26 al 28 maggio, al Teatro Farnese di Parma. Una partitura complessa che viene diretta oggi da uno dei massimi esperti di questo repertorio come il maestro Marco Angius (foto in basso) che l’affronta per la prima volta.
“Non è un’opera. Né un melodramma, né una cantata, né un oratorio, né un concerto”, ebbe a dire Nono del suo Prometeo. Che cos’è in realtà?
“Per me è di sicuro un’anti-opera. Nel senso che è un rovesciamento della prospettiva dell’opera da molteplici punti di vista. In primo luogo perché il centro non è qui la scena, ma lo spettatore. In secondo luogo perché non c’è niente da rappresentare. Tanto che non c’è nessun Prometeo crocifisso da mettere in scena! D’altronde, anche il testo di questo Prometeo non è un libretto d’opera, inteso nel senso tradizionale. Qui il suo autore, Massimo Cacciari, ha realizzato piuttosto, in modo del tutto originale che all’epoca fece anche molto scalpore, una composizione di testi in italiano, tedesco e greco antico che sono i più disparati. Si va infatti da Sul concetto di storia di Walter Benjamin a Prometeo incatenato di Eschilo, dal Prometeo di Goethe a Schicksalslied e Achill di Friedrich Hölderlin, solo per citarne alcuni. Alla fine ne esce un grande madrigale rappresentativo in senso post monteverdiano dove tutto è concentrato sulla forza significativa della parola”.
Qual è l’aspetto più sperimentale?
“Il fatto che il compositore si concentri essenzialmente sul suono, tanto da intitolare questa composizione Tragedia dell’ascolto. Tutto questo senza negare l’opera lirica della grande tradizione ed il canto. Perché in Prometeo esiste comunque una fortissima carica lirica, vissuta però come un non luogo dove raccogliere sia la musica sia l’anti-musica, inserendovi, al suo interno, anche il luogo del silenzio, ovvero quel particolare modo in cui Nono fa vibrare lo spazio in silenzio con un’abbondanza, ad esempio, di corone e pause acustiche”.
La difficoltà d’esecuzione di Prometeo, così poco rappresentato in Italia mentre all’estero ha al suo attivo decine di allestimenti, viene anche dalla scelta dello spazio scenico. Questa edizione ha luogo al Teatro Farnese. Soddisfatto della scelta?
“Sì, moltissimo. La prima assoluta avvenne nel 1984 alla Chiesa di San Lorenzo per la Biennale di Venezia ad opera dell’architetto Renzo Piano che realizzò una struttura lignea a forma di nave, divisa in tre livelli. Qui il Teatro Farnese offre già per la sua struttura lignea i molteplici livelli che rispondono ai diversi piani richiesti dalla partitura. Perché non bisogna mai dimenticare che rivoluzionare l’esperienza dell’ascolto è il fine che muove la ricerca musicale di Luigi Nono. E in questo il Teatro Farnese, che conosco molto bene avendovi diretto al suo interno per dieci anni il festival Traiettorie, rende possibile in pieno questa nuova distribuzione spaziale del suono. Ma la difficoltà d’esecuzione di Prometeo non si ferma qui. Oltre alla difficoltà di direzione dei quattro gruppi strumentali presenti in sala, è necessario infatti avvalersi anche di un ottimo regista del suono, in questo caso Alvise Vidolin, dal momento che l’apporto elettroacustico è presenza cruciale in questa partitura già dal primo attacco”. (Antonio Garbisa)
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