soprano Diana Damrau direttore Emmanuel Villaume orchestra Opéra di Lione cd Erato 0190295848996 prezzo 18,20
Forse i tempi vanno facendosi maturi per un riesame del repertorio – non poi vastissimo – noto come grand opéra: col quale nessun compositore europeo ottocentesco poté permettersi il lusso di rifiutare di confrontarsi, quantunque di rado mancassero d’indirizzarvi epiteti ben poco lusinghieri (la celebre croce da morto per il Prophète quale unico commento di Schumann nei panni di critico musicale…). Del grand opéra, il tedesco Jacob Beer che per volere del nonno materno aggiunse al cognome paterno quello della madre Meyer; che da figlio di famiglia molto ricca studiò privatamente composizione col miglior maestro di allora, compagno di studi con Weber, e pianoforte con Clementi; che iniziò a comporre giovanissimo in Germania, per poi recarsi in Italia restando folgorato da Rossini e scrivendo difatti in italiano opere rossinianissime ma di scarso successo; che a Parigi il suo rossinismo lo modellò sul Rossini francese codificando con ciò il grand opéra, accolto finalmente da successo tanto trionfale quanto caduco al volgere del nuovo secolo: del grand opéra, insomma, Meyerbeer è senz’altro – nel bene come nel male – l’incarnazione più compiuta.
L’interesse che come dicevo pare si stia risvegliando nei confronti della sua musica (dopo il successo berlinese, nell’autunno del ’18 Michele Mariotti dirigerà nuovamente Les Huguenots, a Parigi ma con cast stellare) trova un esempio eclatante nel recital della Damrau: che compendia tutti e tre i periodi creativi di Meyerbeer. Due brani ancora inediti tratti da Alimelek, o i due califfi e da Un accampamento in Slesia che fu da lui rielaborata in francese divenendo L’étoile du Nord, un’aria della quale è presente nel disco con tutta la sua delirante virtuosità perfettamente padroneggiata. Due brani del periodo italiano (dal Crociato in Egitto e da Emma di Resburgo), col loro rossinismo drenato del valore espressivo sempre presente invece in Rossini, ma portato all’ennesima potenza per quanto concerne tutto l’ambaradan acrobatico della virtuosa. C’è ovviamente “Ombre légère” del Pardon de Ploermel alias Dinorah, opera tanto restata sconosciuta (ed è un peccato giacché è risultato tra i maggiori di Meyerbeer) quanto invece notissima fu sempre quest’aria, cavallo di battaglia d’ogni soprano di coloratura. E ci sono infine un’aria ciascuna dei quattro mastodontici grand opéra.
Di tutto quest’iradiddìo vocale, Diana Damrau offre non solo esecuzioni superbe (trilli delicatissimi oppure granitici; mordenti, scalette, picchiettati, roulades da acrobazie senza rete; messe di voce eterne; assottigliamenti e rinforzi di musicalità strepitosa), ma tentando per ogni dove – e talora riuscendoci – d’infondere col proprio bellissimo timbro il sangue dell’accento a così ridondante carne di scienza musicale. Villaume accompagna con l’inevitabile discrezione del caso, ma riuscendo a far percepire quell’eccelsa scienza dell’orchestrazione con cui – di conserva alla scienza non meno cospicua nel trattamento della voce – Meyerbeer cerca di far dimenticare la sua cronica povertà melodica.
Elvio Giudici
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