Hindemith – Harmonie der Welt

Va in scena l'ultimo, grandioso, capolavoro d'autore dedicato a Keplero

LINZ – Quando debuttò a Monaco nel 1957, Die Harmonie der Welt deluse le aspettative. L’esito si limitò a un puro successo di stima verso Hindemith, autore anche del libretto, e in molti – a cominciare da Adorno – credettero di scorgere in quest’opera incentrata su Keplero una drammaturgia impossibile, proprio per la sua contiguità con la scienza. A distanza di sessant’anni quegli stessi contenuti sono stati interamente metabolizzati: anzi, esiste una generazione di compositori – da Glass a Ruders, da Adams alla Sikora – che hanno scelto figure di scienziati come protagonisti dei loro lavori; e, ascoltata oggi, quest’opera in cinque atti risuona in tutta la sua potenza scenica, scompaginando una consolidata gerarchia musicale novecentesca, forse da ripensare. La sede della nuova produzione non poteva che essere Linz, località emblematica della tormentata geografia kepleriana: nella sua vita randagia, lo scienziato qui visse alcuni anni di relativa serenità e pubblicò, nel 1619, il trattato Harmonices Mundi (dove realizza una mirabile sintesi fra musica, matematica e astronomia) che dà il nome all’opera. Lo spettacolo del nuovo Landestheater, firmato dal regista Dietrich Hilsdorf, punta l’obiettivo soprattutto sulla cornice storica: la guerra dei Trent’anni, che insanguinò un’Europa suddivisa fra cattolici e protestanti, dove è immediato scorgere un riflesso del secondo conflitto mondiale. La visualità rimanda, attraverso i costumi di Renate Schmitzer, a una modernità senza tempo, così come la fatiscente specola rotante (l’impianto scenico è dello stesso Hilsdorf), rifugio del protagonista. Si giustifica allora il ricorso ad alcuni iconici simboli scientifici – come un cannocchiale e un pendolo – seppure non riconducibili storicamente a Keplero, oltre a disegni geometrici e abbozzi di calcoli alle pareti che documentano la febbrile attività dell’astronomo. Nel buon cast si è imposto Seho Chang, unico orientale, quasi a sottolineare l’alterità del protagonista: il baritono coreano canta con sicura raffinatezza, riuscendo a trasmettere tutta la solitudine intellettuale e l’integrità etica di Keplero. Efficace nel rendere l’imperatore Rodolfo II, mecenate di artisti e scienziati, il basso Dominik Nekel. Del personaggio di Wallenstein (il cui ruolo viene enfatizzato da Hindemith in omaggio al dramma di Schiller) la regia sottolinea il progressivo e inquietante disfacimento fisico, ben reso dall’ottimo tenore Jacques le Roux. Bravo pure l’altro tenore, Sven Hjörleifsson nei panni di Ulrich, fedele discepolo che poi entra in conflitto con il maestro; mentre Matthias Helm interpreta Tansur con voce troppo poco timbrata per un basso comico-grottesco. Il soprano Sandra Trattnigg disegna, attraverso l’eleganza del canto, una devota e appassionata seconda moglie di Keplero; e l’icastico mezzosoprano Vaida Raginskyté, la madre che l’astronomo riesce a salvare dal rogo. Sul podio Gerrit Priessnitz ha ottenuto dalla Bruckner Orchester Linz rigore ritmico e sonorità nitide: mai troppo algido, è riuscito a rendere avvertibili quei sentimenti che corrono sottotraccia nelle pieghe di una rigorosissima struttura formale. Determinante il contributo del monumentale coro, assai valorizzato dalla regia. Nel finale, Hilsdorf rinuncia a seguire le didascalie del libretto e a rappresentare l’allegoria in cui tutti i personaggi assumono le sembianze dei vari corpi celesti: così, nella passacaglia che segna il conseguimento dell’armonia cosmica teorizzata da Keplero, ciascuno mantiene la propria fisionomia originaria. Nonostante la guerra è possibile realizzare questa grandiosa utopia? Si resta con il dubbio, mentre – sul piano musicale – si ha invece la certezza di aver sfiorato vertici paragonabili ad altri grandi finali operistici, da Guillaume Tell a Falstaff.
Giulia  Vannoni

 

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306 Novembre 2024
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