Mendelssohn – Sinfonie n. 1-5

direttore  Yannick Nézet-Séguin
orchestra Chamber Orchestra of Europe
coro Rias Kammerchor
3 cd  Dg 00289 479 7337                                
prezzo 30,90

 

Non sembra essere stato troppo turbato il direttore canadese dalla nota definizione che Nietzsche aveva dato di Mendelssohn, un “bell’incidente della musica tedesca”, riassumendo nella sua ambivalenza le tante difficoltà che hanno avvolto l’immagine del grande musicista, al di là della lunga censura decretata dal regime nazista; il “problema Mendelssohn”, come intitolava Dahlhaus un suo saggio, nasceva dalla singolare impronta classicistica (“genio alcionio”, sempre Nietzsche) di una musica nata in pieno romanticismo, intreccio che ha lasciato segni ben evidenti nella stessa vicenda interpretativa e che, appunto, Nézet-Seguin sembra sciogliere con naturale eloquenza in questo percorso attraverso l’integrale, registrato dal vivo  in occasione delle due serate offerte al pubblico parigino nel febbraio dell’anno passato nella sede della Philharmonie. Colpisce il senso di unità con cui l’interprete abbraccia un universo così diversificato senza che ognuna delle Sinfonie confonda il proprio carattere, il proprio colore emozionale. E questo grazie all’organicità con cui il direttore plasma il discorso con una duttilità avvincente, contando su uno strumento di straordinaria precisione ed insieme flessibilità quale la Chamber Orchestra of Europe che gli consente di sciogliere la leggerezza che pervade la Prima Sinfonia, opera di un quindicenne che aveva alle spalle ben tredici sorprendenti sinfonie per archi, quale tratto distintivo del modo con cui Mendelssohn affronta il problema comune ai compositori di quella stagione centrale del secolo nel cimentarsi con la forma sinfonica, vale a dire come combinare l’idea di  “grande forma” con le ragioni sempre più sottili del processo tematico; aspetti cui in certo qual modo Mendelssohn si era sottratto nella “Italiana” (e così farà anche nella “Scozzese”) privilegiando una melodia liederistica e un tessuto prevalentemente contrappuntistico, più leggero, tratti che Nézet-Séguin delinea con naturale felicità. Che risulta poi il filo conduttore nel passaggio alla grandiosa “Lobgesang”, uno dei lavori più amati dallo stesso Mendelssohn che suscitò, al suo apparire, pareri discordi, dovuti soprattutto all’idea che il compositore avesse voluto confrontarsi con la Nona di Beethoven (riferimento in realtà assai indiretto il che non impedirà a Wagner di definire questo lavoro “una stupida spregiudicatezza”). Progetto tanto ambizioso quanto complesso con cui Mendelssohn partendo dall’occasione celebrativa per esaltare l’aspetto umanistico connesso all’invenzione della stampa, la conquista di una nuova luce di civiltà avvolge poi tale vibrante atto di fede illuministica di un riverbero ancor più intimo ed assoluto che viene dall’intonazione religiosa; visione sensibile che si percepisce animare l’entusiasmo del direttore canadese, facendoci rievocare le parole di Schumann che presente all’esecuzione  annotava che “l’insieme ha entusiasmato e certamente l’opera, specialmente nelle parti corali, è una delle sue più fresche e affascinanti del compositore…”,  segnalando in particolare l’emozione prodotta da un brano, quel canto a due  “Ich harrete des Herrn” (Attendevo il Signore) con l’intervento del coro “dopo il quale nel pubblico si è sentito un brusio generale di stupore che per un’esecuzione in chiesa vale quanto una clamorosa ovazione in una sala da concerto”.
Gian Paolo Minardi

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